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Baracoa ombligo de Cuba..............
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Asere Que Bola - A Cuba, esa loca y maravillosa isla :: Provincie :: L'Avana e province cubane :: Guantanamo e Baracoa
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Baracoa ombligo de Cuba..............
http://www.rivistailmulino.it/news/newsitem/index/Item/News:NEWS_ITEM:1374
Baracoa è l’ombelico di Cuba.
Un ombelico non centrato,
abbarbicato alle propaggini di un profondo Est. Ma è da qui che l’isola ha preso vita, tratto la sua origine non geologica, germinato una radice non culturale: Baracoa è la culla di Cuba semplicemente perché a Cuba non esiste luogo più ancestrale.
La natura stringe con selvaggia generosità una lingua di case, affiancate nelle loro architetture di legno pitturato con sgargianti colori, come tante niñas messe in fila. I baracoensi sono mulatti o neri, figli moderni degli antichi Tainos;
le donne indossano vestiti rosso fuoco e turchese, magliettine luminescenti di strass, pantaloni da cui pendono armamentari di fibbie. Anch’io ho comprato qualche vestito a Baracoa. E non è stato facile. Le tiendas, i negozi dove puoi acquistare un po’ di tutto, in realtà non vendono quasi niente. Sono grandi stanze vuote occupate da scaffali sguarniti e impolverati. La merce non costa poco, anche se è di scadente qualità. I cubani vanno ghiotti della roba particular, marche buone trafficate privatamente da chi riesce a vendere e a comprare chissà come, sognando la Florida dall’altra parte del mare, raggiunta troppe e male volte con mezzi di fortuna.
A Baracoa il tempo non scorre.
I suoni sono quelli che non abbiamo mai conosciuto.
Anche le pittoresche vetture, miracolate da prodigiosi meccanici, forse orologiai in grado di fermare il tempo, sono persino più rare.
Il mezzo di trasporto prediletto è il risciò, o l’asino, la bicicletta e la carrozza a un solo cavallo.
I bambini camminano in strada, ignari dei pericoli dei nostri figli. Indossano la stessa uniforme, camicina bianca, pantaloni o gonnella cachi, che li porta a scuola dalle 7:30 alle 17. Camminano per chilometri, spuntano alla spicciolata da sentieri scoscesi incisi nei fianchi della giungla, si assembrano in piccole frotte sulle spiagge e portano zaini inutili sulle spalle: i libri sono un lusso, non c’è niente di più prezioso delle dispense fotocopiate, strette al petto con presa diligente.
I bambini studiano tutti, e con metodo. La scuola è la vita. È lì che imparano anche lo sport, che praticano ogni giorno, e la musica. A scuola mangiano e sognano. Sanno che devono ottenere il massimo della puntuación, perché se non sei bravo sei tagliato fuori. Le scuole professionali accolgono i secondi arrivati: ai primi spetta il diritto di un futuro universitario. È il pensiero con cui Nailen si sveglia alle sei meno dieci con la forza dei suoi tredici anni, è il pensiero con cui tutte le sere Iván e Zoila la addormentano, loro che sono rimasti per sempre a Baracoa mentre il figlio grande è al terzo anno di Ingegneria chimica a Santiago de Cuba.
Da Baracoa non ci si muove spesso.
A Baracoa si resta.
Fino a un pugno d’anni fa, l’unica via era d’acqua, e ora che c’è un aeroporto con qualche rado volo e un paio di recenti righe tracciate sulle mappe sino a Holguín e Santiago, la strada è tuttavia ancora lunga per sentirsi qui come a Cuba.
Baracoa è un ecosistema a sé.
Dove la maggior parte degli abitanti non è mai uscita dal giardino di palme reali e di jagrumas che si estende a perdita d’occhio, incastonato tra le montagne.
Ogni passo, gesto, fronda qui ha il suo suono, accolto nel silenzio, gustato fino a spegnersi in una quiete senza rumore.
Anche il gallo interpreta un assolo tutto suo e ulula a una falce di luna orizzontale sin dalle tre del mattino.
La pioggia scandisce il metronomo con solerzia quotidiana, picchiettando leggera prima dell’alba e nel tardo pomeriggio, mentre la musica zampilla ovunque: strilla dalle case spalancate, con o senza porte, romba all’accensione delle macchine, si balla la sera nella poco più che turistica Casa de la Trova, nella Terraza, per chi non ne abbia abbastanza di reggaetón, e nel ritrovo autentico del Patio, dove mi sono lasciata vivere tra gli equilibrismi timbrici dei Maravilla Yunqueña, nell’impasto perfettamente amalgamato di güiro e claves, spolverizzato dalla ritmica sgranata delle maracas, su cui far risaltare il dolce controcanto di due tenori e il granello di sale di un basso.
Il monte Yunque è il tesoro di quest’isola nell’isola.
Una divinità che dall’alto del Parque Humboldt tutto vede e che si raggiunge dopo una ripida camminata, guadando un fiume, attraversando i grumi di colore di una giungla sorretta da fusti di mango, cocco, cacao e caffé, immergendosi fino alle ginocchia in un cremoso fango rosso, per raggiungere una cima insolita, incredibilmente appuntita.
Una sommità da condividere con pochi, dove in trecentosessanta gradi di sguardo l’occhio si perde sulla cintura di monti più gentili, sorvola foreste sterminate, abbracciando per tre quarti il mare.
Pienamente rivelatrice della verde estasi cubana, l’ascesa allo Yunque è complice anche di un’altra scoperta, segreta, antica qual è la musica di questa terra.
Che nasce dai suoi uccelli come il Tocororo Guatini, dal mantello nazionale bianco rosso e blu, come il lento e timido Guacaica, dagli occhi mendaci quasi ciechi, o dall’esuberante picchio tropicale, il Carpintero Jabao.
Ascoltando il fraseggio sincopato del suo becco aguzzo, il sospetto diviene certezza: l’isola ha imparato a danzare al ritmo del suo canto
Baracoa è l’ombelico di Cuba.
Un ombelico non centrato,
abbarbicato alle propaggini di un profondo Est. Ma è da qui che l’isola ha preso vita, tratto la sua origine non geologica, germinato una radice non culturale: Baracoa è la culla di Cuba semplicemente perché a Cuba non esiste luogo più ancestrale.
La natura stringe con selvaggia generosità una lingua di case, affiancate nelle loro architetture di legno pitturato con sgargianti colori, come tante niñas messe in fila. I baracoensi sono mulatti o neri, figli moderni degli antichi Tainos;
le donne indossano vestiti rosso fuoco e turchese, magliettine luminescenti di strass, pantaloni da cui pendono armamentari di fibbie. Anch’io ho comprato qualche vestito a Baracoa. E non è stato facile. Le tiendas, i negozi dove puoi acquistare un po’ di tutto, in realtà non vendono quasi niente. Sono grandi stanze vuote occupate da scaffali sguarniti e impolverati. La merce non costa poco, anche se è di scadente qualità. I cubani vanno ghiotti della roba particular, marche buone trafficate privatamente da chi riesce a vendere e a comprare chissà come, sognando la Florida dall’altra parte del mare, raggiunta troppe e male volte con mezzi di fortuna.
A Baracoa il tempo non scorre.
I suoni sono quelli che non abbiamo mai conosciuto.
Anche le pittoresche vetture, miracolate da prodigiosi meccanici, forse orologiai in grado di fermare il tempo, sono persino più rare.
Il mezzo di trasporto prediletto è il risciò, o l’asino, la bicicletta e la carrozza a un solo cavallo.
I bambini camminano in strada, ignari dei pericoli dei nostri figli. Indossano la stessa uniforme, camicina bianca, pantaloni o gonnella cachi, che li porta a scuola dalle 7:30 alle 17. Camminano per chilometri, spuntano alla spicciolata da sentieri scoscesi incisi nei fianchi della giungla, si assembrano in piccole frotte sulle spiagge e portano zaini inutili sulle spalle: i libri sono un lusso, non c’è niente di più prezioso delle dispense fotocopiate, strette al petto con presa diligente.
I bambini studiano tutti, e con metodo. La scuola è la vita. È lì che imparano anche lo sport, che praticano ogni giorno, e la musica. A scuola mangiano e sognano. Sanno che devono ottenere il massimo della puntuación, perché se non sei bravo sei tagliato fuori. Le scuole professionali accolgono i secondi arrivati: ai primi spetta il diritto di un futuro universitario. È il pensiero con cui Nailen si sveglia alle sei meno dieci con la forza dei suoi tredici anni, è il pensiero con cui tutte le sere Iván e Zoila la addormentano, loro che sono rimasti per sempre a Baracoa mentre il figlio grande è al terzo anno di Ingegneria chimica a Santiago de Cuba.
Da Baracoa non ci si muove spesso.
A Baracoa si resta.
Fino a un pugno d’anni fa, l’unica via era d’acqua, e ora che c’è un aeroporto con qualche rado volo e un paio di recenti righe tracciate sulle mappe sino a Holguín e Santiago, la strada è tuttavia ancora lunga per sentirsi qui come a Cuba.
Baracoa è un ecosistema a sé.
Dove la maggior parte degli abitanti non è mai uscita dal giardino di palme reali e di jagrumas che si estende a perdita d’occhio, incastonato tra le montagne.
Ogni passo, gesto, fronda qui ha il suo suono, accolto nel silenzio, gustato fino a spegnersi in una quiete senza rumore.
Anche il gallo interpreta un assolo tutto suo e ulula a una falce di luna orizzontale sin dalle tre del mattino.
La pioggia scandisce il metronomo con solerzia quotidiana, picchiettando leggera prima dell’alba e nel tardo pomeriggio, mentre la musica zampilla ovunque: strilla dalle case spalancate, con o senza porte, romba all’accensione delle macchine, si balla la sera nella poco più che turistica Casa de la Trova, nella Terraza, per chi non ne abbia abbastanza di reggaetón, e nel ritrovo autentico del Patio, dove mi sono lasciata vivere tra gli equilibrismi timbrici dei Maravilla Yunqueña, nell’impasto perfettamente amalgamato di güiro e claves, spolverizzato dalla ritmica sgranata delle maracas, su cui far risaltare il dolce controcanto di due tenori e il granello di sale di un basso.
Il monte Yunque è il tesoro di quest’isola nell’isola.
Una divinità che dall’alto del Parque Humboldt tutto vede e che si raggiunge dopo una ripida camminata, guadando un fiume, attraversando i grumi di colore di una giungla sorretta da fusti di mango, cocco, cacao e caffé, immergendosi fino alle ginocchia in un cremoso fango rosso, per raggiungere una cima insolita, incredibilmente appuntita.
Una sommità da condividere con pochi, dove in trecentosessanta gradi di sguardo l’occhio si perde sulla cintura di monti più gentili, sorvola foreste sterminate, abbracciando per tre quarti il mare.
Pienamente rivelatrice della verde estasi cubana, l’ascesa allo Yunque è complice anche di un’altra scoperta, segreta, antica qual è la musica di questa terra.
Che nasce dai suoi uccelli come il Tocororo Guatini, dal mantello nazionale bianco rosso e blu, come il lento e timido Guacaica, dagli occhi mendaci quasi ciechi, o dall’esuberante picchio tropicale, il Carpintero Jabao.
Ascoltando il fraseggio sincopato del suo becco aguzzo, il sospetto diviene certezza: l’isola ha imparato a danzare al ritmo del suo canto
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Re: Baracoa ombligo de Cuba..............
arcoiris ha scritto:
Un ombelico non centrato,
abbarbicato alle propaggini di un profondo Est. Ma è da qui che l’isola ha preso vita, tratto la sua origine non geologica, germinato una radice non culturale: Baracoa è la culla di Cuba semplicemente perché a Cuba non esiste luogo più ancestrale
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Re: Baracoa ombligo de Cuba..............
No se, no me cuadra para nada
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Re: Baracoa ombligo de Cuba..............
arcoiris ha scritto:No se, no me cuadra para nada
è un lugar che è stato historicamente uno de lo mas aislado ..de la Isla..
per motivi geografici data la sua ubicacion..
nunca pasaste por alla'?
yo solo unos dias pero tengo un buen recuerdo..
por el clima con mucha lluvia..hay mucha jungla y naturaleza...
como no se encuentra en otra parte de Cuba..
.-...............................................
Baracoa è un ecosistema a sé.
Dove la maggior parte degli abitanti non è mai uscita dal giardino di palme reali e di jagrumas che si estende a perdita d’occhio, incastonato tra le montagne.
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Re: Baracoa ombligo de Cuba..............
arcoiris ha scritto:Y Remedio?
Remedios cerca de S.Clara?
esta' nettamente meno isolato come posicion..
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Re: Baracoa ombligo de Cuba..............
mosquito ha scritto:http://www.rivistailmulino.it/news/newsitem/index/Item/News:NEWS_ITEM:1374
Baracoa è l’ombelico di Cuba.
Un ombelico non centrato,
abbarbicato alle propaggini di un profondo Est. Ma è da qui che l’isola ha preso vita, tratto la sua origine non geologica, germinato una radice non culturale: Baracoa è la culla di Cuba semplicemente perché a Cuba non esiste luogo più ancestrale.
La natura stringe con selvaggia generosità una lingua di case, affiancate nelle loro architetture di legno pitturato con sgargianti colori, come tante niñas messe in fila. I baracoensi sono mulatti o neri, figli moderni degli antichi Tainos;
le donne indossano vestiti rosso fuoco e turchese, magliettine luminescenti di strass, pantaloni da cui pendono armamentari di fibbie. Anch’io ho comprato qualche vestito a Baracoa. E non è stato facile. Le tiendas, i negozi dove puoi acquistare un po’ di tutto, in realtà non vendono quasi niente. Sono grandi stanze vuote occupate da scaffali sguarniti e impolverati. La merce non costa poco, anche se è di scadente qualità. I cubani vanno ghiotti della roba particular, marche buone trafficate privatamente da chi riesce a vendere e a comprare chissà come, sognando la Florida dall’altra parte del mare, raggiunta troppe e male volte con mezzi di fortuna.
A Baracoa il tempo non scorre.
I suoni sono quelli che non abbiamo mai conosciuto.
Anche le pittoresche vetture, miracolate da prodigiosi meccanici, forse orologiai in grado di fermare il tempo, sono persino più rare.
Il mezzo di trasporto prediletto è il risciò, o l’asino, la bicicletta e la carrozza a un solo cavallo.
I bambini camminano in strada, ignari dei pericoli dei nostri figli. Indossano la stessa uniforme, camicina bianca, pantaloni o gonnella cachi, che li porta a scuola dalle 7:30 alle 17. Camminano per chilometri, spuntano alla spicciolata da sentieri scoscesi incisi nei fianchi della giungla, si assembrano in piccole frotte sulle spiagge e portano zaini inutili sulle spalle: i libri sono un lusso, non c’è niente di più prezioso delle dispense fotocopiate, strette al petto con presa diligente.
I bambini studiano tutti, e con metodo. La scuola è la vita. È lì che imparano anche lo sport, che praticano ogni giorno, e la musica. A scuola mangiano e sognano. Sanno che devono ottenere il massimo della puntuación, perché se non sei bravo sei tagliato fuori. Le scuole professionali accolgono i secondi arrivati: ai primi spetta il diritto di un futuro universitario. È il pensiero con cui Nailen si sveglia alle sei meno dieci con la forza dei suoi tredici anni, è il pensiero con cui tutte le sere Iván e Zoila la addormentano, loro che sono rimasti per sempre a Baracoa mentre il figlio grande è al terzo anno di Ingegneria chimica a Santiago de Cuba.
Da Baracoa non ci si muove spesso.
A Baracoa si resta.
Fino a un pugno d’anni fa, l’unica via era d’acqua, e ora che c’è un aeroporto con qualche rado volo e un paio di recenti righe tracciate sulle mappe sino a Holguín e Santiago, la strada è tuttavia ancora lunga per sentirsi qui come a Cuba.
Baracoa è un ecosistema a sé.
Dove la maggior parte degli abitanti non è mai uscita dal giardino di palme reali e di jagrumas che si estende a perdita d’occhio, incastonato tra le montagne.
Ogni passo, gesto, fronda qui ha il suo suono, accolto nel silenzio, gustato fino a spegnersi in una quiete senza rumore.
Anche il gallo interpreta un assolo tutto suo e ulula a una falce di luna orizzontale sin dalle tre del mattino.
La pioggia scandisce il metronomo con solerzia quotidiana, picchiettando leggera prima dell’alba e nel tardo pomeriggio, mentre la musica zampilla ovunque: strilla dalle case spalancate, con o senza porte, romba all’accensione delle macchine, si balla la sera nella poco più che turistica Casa de la Trova, nella Terraza, per chi non ne abbia abbastanza di reggaetón, e nel ritrovo autentico del Patio, dove mi sono lasciata vivere tra gli equilibrismi timbrici dei Maravilla Yunqueña, nell’impasto perfettamente amalgamato di güiro e claves, spolverizzato dalla ritmica sgranata delle maracas, su cui far risaltare il dolce controcanto di due tenori e il granello di sale di un basso.
Il monte Yunque è il tesoro di quest’isola nell’isola.
Una divinità che dall’alto del Parque Humboldt tutto vede e che si raggiunge dopo una ripida camminata, guadando un fiume, attraversando i grumi di colore di una giungla sorretta da fusti di mango, cocco, cacao e caffé, immergendosi fino alle ginocchia in un cremoso fango rosso, per raggiungere una cima insolita, incredibilmente appuntita.
Una sommità da condividere con pochi, dove in trecentosessanta gradi di sguardo l’occhio si perde sulla cintura di monti più gentili, sorvola foreste sterminate, abbracciando per tre quarti il mare.
Pienamente rivelatrice della verde estasi cubana, l’ascesa allo Yunque è complice anche di un’altra scoperta, segreta, antica qual è la musica di questa terra.
Che nasce dai suoi uccelli come il Tocororo Guatini, dal mantello nazionale bianco rosso e blu, come il lento e timido Guacaica, dagli occhi mendaci quasi ciechi, o dall’esuberante picchio tropicale, il Carpintero Jabao.
Ascoltando il fraseggio sincopato del suo becco aguzzo, il sospetto diviene certezza: l’isola ha imparato a danzare al ritmo del suo canto
uppiamo esto bell'articolo sobre la magica Baracoa..
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Re: Baracoa ombligo de Cuba..............
http://www.primaveradigital.org/primavera/destacados/189-a-asociedad/9593-el-medio-milenio-de-la-primada-y-bella-baracoa-.html
La ciudad de Baracoa está ubicada en la costa norte de la provincia de Guantánamo, con una extensión territorial de 34 040 kilómetros cuadrados y una población cercana a los 50 000 habitantes.
Baracoa está ubicada en el sistema montañoso Nipe-Sagua-Baracoa, donde la mayor altura está ubicada en la Sierra del Curial, el pico El Gato, con 1181 metros de altura.
La zona septentrional donde está ubicada Baracoa es la región de mayor pluviosidad y más húmeda de Cuba.
La ciudad de Baracoa está situada entre los ríos Macaguanigua, Miel y Toa, este último marcado por numerosas cascadas y saltos, de los cuales el más conocido y visitado es El Saltadero, con 17 metros de altura.
Hay dos elementos geográficos que hacen única a Baracoa entre las ciudades de Cuba. Uno es el Yunque, que debe su nombre a la similitud de la herramienta que utilizan los herreros, y la Bella Durmiente, una loma cuya configuración a lo lejos semeja una joven echada, la cual causa asombro y admiración a todos los que la observan.
La ciudad de Baracoa es el más antiguo asentamiento de la Isla. Fue fundada el 15 de agosto de 1511 por los colonizadores españoles, al frente de los cuales estaba el Adelantado Diego Velázquez.
En 1518 recibió el nombramiento de ciudad. Fue la primera capital y el primer obispado de la Isla, de ahí que la llamen Ciudad Primada.
Entre 1516 y 1523, se erigió la primera sede episcopal catedralicia. Luego, en 1757, se comienza llamar Iglesia de Santa Cruz de la Parra y partir de 1804, Parroquia Mayor. Su primera reconstrucción ocurrió en 1886 y la última en 2012.
La Iglesia Parroquial Mayor de Baracoa, el 15 de agosto de 2012 recibió el titulo de Nuestra Señora de la Asunción. El 23 de junio de 2013, por decreto de la Congregación para el Culto Divino y la Disciplina de los Sacramento se le concedió el titulo y la dignidad de Basílica menor de la Diócesis de Guantánamo-Baracoa
Como el macizo montañoso de la sierra Nipe-Sagua- Baracoa es una gran barrera natural que hacía sumamente difícil el acceso por tierra de la costa sur a la Ciudad Primada, el gobierno cubano decidió la construcción de un viaducto de 36 kilómetros bautizado como La Farola. Su construcción se inició en abril de 1964 y fue abierta a la circulación vehicular en diciembre de 1965.
La Farola nace en el puente de Las Guásimas, en el poblado de Veguita del Sur. En El Mirador de Alto de Cotilla, ubicado a 600 metros sobre el nivel del mar, comienza el descenso hasta la ciudad de Baracoa.
La Farola es una vía peculiar, sumamente peligrosa. Para garantizar que no se produjeran deslizamientos debido al alto régimen pluvial existente en la zona, toda fue pavimentada con hormigón.
En los lugares en que el viaducto no llegaba a los 6 metros, que es su ancho original, en el borde del precipicio se fundieron pilotes de 40 centímetros de diámetro, con cimentación abierta en la roca, en forma de dado, de 1,2 x 1,2 metros y altura variable, y se colocaron vigas en forma de T en las que descansa el viaducto.
Fue una magna obra la construcción de La Farola. Hubo que encontrar soluciones técnicas para vencer los tramos adosados a las laderas de las montañas, en una zona donde abundan las pendientes, los abismos, y hay frecuentes deslizamientos de rocas.
Antes era una vía estrecha de dos carriles.
En 1997 se decidió incluir La Farola entre las 7 maravillas de la ingeniería civil cubana.
La otra vía para llegar a la primera villa de Cuba es por avión. El pequeño aeropuerto "Gustavo Rizo", ubicado a 4 kilómetros de la ciudad, al oeste de la bahía y colindante con el hotel Porto Santo, semanalmente recibe dos vuelos procedentes de La Habana, los jueves y los domingos, solamente en horario diurno, porque la pista no tiene iluminación.
La pequeña bahía de bolsa donde está el puerto de la ciudad, no se draga desde finales de la década del 90. Eso impide la entrada de buques, algo que abarataría de manera apreciable los costos de trasportación de las mercancías que necesita la ciudad y los pueblos aledaños y contribuiría al embarque de apreciables cantidades de café, cacao, y cocos que se producen en la región. El 80% del trasiego de las mercancías que entran y salen de Baracoa se realiza a un alto costo de flete por el peligroso Viaducto de la Farola.
De estar abierta la bahía de Baracoa a la circulación marítima, eso posibilitaría la entrada de ferris que trasladarían a turistas nacionales y extranjeros, lo que se traduciría en altas recaudaciones dado el interés por visitar la ciudad por ser esta la primera villa de Cuba, por la belleza de sus paisajes naturales.
La gran reserva de la biosfera "Alejandro de Humboldt" con una flora y fauna únicas, es visita obligada de los amantes de la naturaleza, pero en estos momentos no se aprovecha todo su potencial.
Todos aquellos que recorren la ciudad de Baracoa se quedan extasiados por la limpieza de sus calles, el carácter comedido y reservado de los baracoenses, sus edificios públicos, casas de viviendas, la mayoría conserva el encanto de la arquitectura de la primera mitad del siglo XX.
El turismo es la actividad que más beneficios económicos le proporciona a los pobladores de la Ciudad Primada. Se destacan los hoteles, como el histórico "La Rusa" y lo que fuera una de las tres antiguas fortalezas construidas en el siglo XVII, hoy convertido en el confortable hotel "El Castillo", además de restaurantes y bares del Estado.
Al amparo de las legislaciones que reanimaron los negocios privados en septiembre de 2011 en estos momentos cerca de 250 casas brindan servicios de alquiler de habitaciones. Junto a estos negocios, por toda la ciudad funcionan pequeños restaurantes privados que ofertan a precios bastante módicos el menú más variado, a base de pescado, mariscos y carne de cerdo, además de pizzerías y cafeterías con ofertas muy módicas.
La trasportación de pasajeros en la ciudad se hace en lo fundamental en pequeños coches tirados por caballos y bicitaxis que trasladan al cliente a la dirección que este indique. El servicio de ómnibus urbanos dispone de pocos vehículos, que cubren algunas rutas pero no todo el día.
Desde la terminal de ómnibus de Baracoa salen diariamente, desde las primeras horas de la mañana hasta el atardecer, jeeps con capacidad para 10 pasajeros, a los poblados de Gran Tierra, La Máquina y Maisí. Al llegar a este último pueblo, vehículos de particulares prestan servicio hasta el Faro de la Punta de Maisí, que está a 12 kilómetros.
Desde la terminal de Ómnibus Nacionales hay cuatro salidas diarias en ómnibus climatizados YUTONG para la ciudad de Guantánamo, una para Camaguey y otra para La Habana. Hay además camiones de porteadores privados que hacen viaje diario, en una y otra dirección, de Baracoa a Guantánamo.
Un lugar obligado de todos los visitantes a Baracoa es la pequeña plazoleta donde está en un pedestal la efigie del indio Hatuey. En una tarja reza: "Hatuey, primer rebelde de América inmolado en Yara de Baracoa". Frente a la imagen del indio rebelde está la Iglesia Parroquial Mayor a la que el 15 de agosto de 2012 se le concedió el titulo de Nuestra Señora de la Asunción. El 23 de Junio de 2013 por Decreto de la Congregación para el Culto Divino y la Disciplina de los Sacramento se le concedió el título y la dignidad de Basílica Menor de la Diócesis de Guantánamo-Baracoa
En el interior de la iglesia se guarda como una reliquia sagrada y de alto valor histórico la Cruz de Parra, dejada a la posteridad como prueba fehaciente de la presencia de Cristóbal Colón en la región hace ya más de quinientos años. Su conservación es parte de la herencia histórica y a la vez patrimonio cultural no solo del pueblo de Baracoa, sino de todos los cubanos.
La Cruz de Parra, que se conserva en la Iglesia Parroquial, es la única que se conserva de las 29 plantadas por Colón en sus viajes de descubrimiento del nuevo mundo. En los festejos de recordación de los 500 años de la fundación de la primera villa de Cuba, oficialmente la cruz fue declarada monumento nacional y tesoro de la nación
La ciudad de Baracoa está ubicada en la costa norte de la provincia de Guantánamo, con una extensión territorial de 34 040 kilómetros cuadrados y una población cercana a los 50 000 habitantes.
Baracoa está ubicada en el sistema montañoso Nipe-Sagua-Baracoa, donde la mayor altura está ubicada en la Sierra del Curial, el pico El Gato, con 1181 metros de altura.
La zona septentrional donde está ubicada Baracoa es la región de mayor pluviosidad y más húmeda de Cuba.
La ciudad de Baracoa está situada entre los ríos Macaguanigua, Miel y Toa, este último marcado por numerosas cascadas y saltos, de los cuales el más conocido y visitado es El Saltadero, con 17 metros de altura.
Hay dos elementos geográficos que hacen única a Baracoa entre las ciudades de Cuba. Uno es el Yunque, que debe su nombre a la similitud de la herramienta que utilizan los herreros, y la Bella Durmiente, una loma cuya configuración a lo lejos semeja una joven echada, la cual causa asombro y admiración a todos los que la observan.
La ciudad de Baracoa es el más antiguo asentamiento de la Isla. Fue fundada el 15 de agosto de 1511 por los colonizadores españoles, al frente de los cuales estaba el Adelantado Diego Velázquez.
En 1518 recibió el nombramiento de ciudad. Fue la primera capital y el primer obispado de la Isla, de ahí que la llamen Ciudad Primada.
Entre 1516 y 1523, se erigió la primera sede episcopal catedralicia. Luego, en 1757, se comienza llamar Iglesia de Santa Cruz de la Parra y partir de 1804, Parroquia Mayor. Su primera reconstrucción ocurrió en 1886 y la última en 2012.
La Iglesia Parroquial Mayor de Baracoa, el 15 de agosto de 2012 recibió el titulo de Nuestra Señora de la Asunción. El 23 de junio de 2013, por decreto de la Congregación para el Culto Divino y la Disciplina de los Sacramento se le concedió el titulo y la dignidad de Basílica menor de la Diócesis de Guantánamo-Baracoa
Como el macizo montañoso de la sierra Nipe-Sagua- Baracoa es una gran barrera natural que hacía sumamente difícil el acceso por tierra de la costa sur a la Ciudad Primada, el gobierno cubano decidió la construcción de un viaducto de 36 kilómetros bautizado como La Farola. Su construcción se inició en abril de 1964 y fue abierta a la circulación vehicular en diciembre de 1965.
La Farola nace en el puente de Las Guásimas, en el poblado de Veguita del Sur. En El Mirador de Alto de Cotilla, ubicado a 600 metros sobre el nivel del mar, comienza el descenso hasta la ciudad de Baracoa.
La Farola es una vía peculiar, sumamente peligrosa. Para garantizar que no se produjeran deslizamientos debido al alto régimen pluvial existente en la zona, toda fue pavimentada con hormigón.
En los lugares en que el viaducto no llegaba a los 6 metros, que es su ancho original, en el borde del precipicio se fundieron pilotes de 40 centímetros de diámetro, con cimentación abierta en la roca, en forma de dado, de 1,2 x 1,2 metros y altura variable, y se colocaron vigas en forma de T en las que descansa el viaducto.
Fue una magna obra la construcción de La Farola. Hubo que encontrar soluciones técnicas para vencer los tramos adosados a las laderas de las montañas, en una zona donde abundan las pendientes, los abismos, y hay frecuentes deslizamientos de rocas.
Antes era una vía estrecha de dos carriles.
En 1997 se decidió incluir La Farola entre las 7 maravillas de la ingeniería civil cubana.
La otra vía para llegar a la primera villa de Cuba es por avión. El pequeño aeropuerto "Gustavo Rizo", ubicado a 4 kilómetros de la ciudad, al oeste de la bahía y colindante con el hotel Porto Santo, semanalmente recibe dos vuelos procedentes de La Habana, los jueves y los domingos, solamente en horario diurno, porque la pista no tiene iluminación.
La pequeña bahía de bolsa donde está el puerto de la ciudad, no se draga desde finales de la década del 90. Eso impide la entrada de buques, algo que abarataría de manera apreciable los costos de trasportación de las mercancías que necesita la ciudad y los pueblos aledaños y contribuiría al embarque de apreciables cantidades de café, cacao, y cocos que se producen en la región. El 80% del trasiego de las mercancías que entran y salen de Baracoa se realiza a un alto costo de flete por el peligroso Viaducto de la Farola.
De estar abierta la bahía de Baracoa a la circulación marítima, eso posibilitaría la entrada de ferris que trasladarían a turistas nacionales y extranjeros, lo que se traduciría en altas recaudaciones dado el interés por visitar la ciudad por ser esta la primera villa de Cuba, por la belleza de sus paisajes naturales.
La gran reserva de la biosfera "Alejandro de Humboldt" con una flora y fauna únicas, es visita obligada de los amantes de la naturaleza, pero en estos momentos no se aprovecha todo su potencial.
Todos aquellos que recorren la ciudad de Baracoa se quedan extasiados por la limpieza de sus calles, el carácter comedido y reservado de los baracoenses, sus edificios públicos, casas de viviendas, la mayoría conserva el encanto de la arquitectura de la primera mitad del siglo XX.
El turismo es la actividad que más beneficios económicos le proporciona a los pobladores de la Ciudad Primada. Se destacan los hoteles, como el histórico "La Rusa" y lo que fuera una de las tres antiguas fortalezas construidas en el siglo XVII, hoy convertido en el confortable hotel "El Castillo", además de restaurantes y bares del Estado.
Al amparo de las legislaciones que reanimaron los negocios privados en septiembre de 2011 en estos momentos cerca de 250 casas brindan servicios de alquiler de habitaciones. Junto a estos negocios, por toda la ciudad funcionan pequeños restaurantes privados que ofertan a precios bastante módicos el menú más variado, a base de pescado, mariscos y carne de cerdo, además de pizzerías y cafeterías con ofertas muy módicas.
La trasportación de pasajeros en la ciudad se hace en lo fundamental en pequeños coches tirados por caballos y bicitaxis que trasladan al cliente a la dirección que este indique. El servicio de ómnibus urbanos dispone de pocos vehículos, que cubren algunas rutas pero no todo el día.
Desde la terminal de ómnibus de Baracoa salen diariamente, desde las primeras horas de la mañana hasta el atardecer, jeeps con capacidad para 10 pasajeros, a los poblados de Gran Tierra, La Máquina y Maisí. Al llegar a este último pueblo, vehículos de particulares prestan servicio hasta el Faro de la Punta de Maisí, que está a 12 kilómetros.
Desde la terminal de Ómnibus Nacionales hay cuatro salidas diarias en ómnibus climatizados YUTONG para la ciudad de Guantánamo, una para Camaguey y otra para La Habana. Hay además camiones de porteadores privados que hacen viaje diario, en una y otra dirección, de Baracoa a Guantánamo.
Un lugar obligado de todos los visitantes a Baracoa es la pequeña plazoleta donde está en un pedestal la efigie del indio Hatuey. En una tarja reza: "Hatuey, primer rebelde de América inmolado en Yara de Baracoa". Frente a la imagen del indio rebelde está la Iglesia Parroquial Mayor a la que el 15 de agosto de 2012 se le concedió el titulo de Nuestra Señora de la Asunción. El 23 de Junio de 2013 por Decreto de la Congregación para el Culto Divino y la Disciplina de los Sacramento se le concedió el título y la dignidad de Basílica Menor de la Diócesis de Guantánamo-Baracoa
En el interior de la iglesia se guarda como una reliquia sagrada y de alto valor histórico la Cruz de Parra, dejada a la posteridad como prueba fehaciente de la presencia de Cristóbal Colón en la región hace ya más de quinientos años. Su conservación es parte de la herencia histórica y a la vez patrimonio cultural no solo del pueblo de Baracoa, sino de todos los cubanos.
La Cruz de Parra, que se conserva en la Iglesia Parroquial, es la única que se conserva de las 29 plantadas por Colón en sus viajes de descubrimiento del nuevo mundo. En los festejos de recordación de los 500 años de la fundación de la primera villa de Cuba, oficialmente la cruz fue declarada monumento nacional y tesoro de la nación
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Re: Baracoa ombligo de Cuba..............
mosquito ha scritto:http://www.rivistailmulino.it/news/newsitem/index/Item/News:NEWS_ITEM:1374
Baracoa è l’ombelico di Cuba.
Un ombelico non centrato,
abbarbicato alle propaggini di un profondo Est. Ma è da qui che l’isola ha preso vita, tratto la sua origine non geologica, germinato una radice non culturale: Baracoa è la culla di Cuba semplicemente perché a Cuba non esiste luogo più ancestrale.
La natura stringe con selvaggia generosità una lingua di case, affiancate nelle loro architetture di legno pitturato con sgargianti colori, come tante niñas messe in fila. I baracoensi sono mulatti o neri, figli moderni degli antichi Tainos;
le donne indossano vestiti rosso fuoco e turchese, magliettine luminescenti di strass, pantaloni da cui pendono armamentari di fibbie. Anch’io ho comprato qualche vestito a Baracoa. E non è stato facile. Le tiendas, i negozi dove puoi acquistare un po’ di tutto, in realtà non vendono quasi niente. Sono grandi stanze vuote occupate da scaffali sguarniti e impolverati. La merce non costa poco, anche se è di scadente qualità. I cubani vanno ghiotti della roba particular, marche buone trafficate privatamente da chi riesce a vendere e a comprare chissà come, sognando la Florida dall’altra parte del mare, raggiunta troppe e male volte con mezzi di fortuna.
A Baracoa il tempo non scorre.
I suoni sono quelli che non abbiamo mai conosciuto.
Anche le pittoresche vetture, miracolate da prodigiosi meccanici, forse orologiai in grado di fermare il tempo, sono persino più rare.
Il mezzo di trasporto prediletto è il risciò, o l’asino, la bicicletta e la carrozza a un solo cavallo.
I bambini camminano in strada, ignari dei pericoli dei nostri figli. Indossano la stessa uniforme, camicina bianca, pantaloni o gonnella cachi, che li porta a scuola dalle 7:30 alle 17. Camminano per chilometri, spuntano alla spicciolata da sentieri scoscesi incisi nei fianchi della giungla, si assembrano in piccole frotte sulle spiagge e portano zaini inutili sulle spalle: i libri sono un lusso, non c’è niente di più prezioso delle dispense fotocopiate, strette al petto con presa diligente.
I bambini studiano tutti, e con metodo. La scuola è la vita. È lì che imparano anche lo sport, che praticano ogni giorno, e la musica. A scuola mangiano e sognano. Sanno che devono ottenere il massimo della puntuación, perché se non sei bravo sei tagliato fuori. Le scuole professionali accolgono i secondi arrivati: ai primi spetta il diritto di un futuro universitario. È il pensiero con cui Nailen si sveglia alle sei meno dieci con la forza dei suoi tredici anni, è il pensiero con cui tutte le sere Iván e Zoila la addormentano, loro che sono rimasti per sempre a Baracoa mentre il figlio grande è al terzo anno di Ingegneria chimica a Santiago de Cuba.
Da Baracoa non ci si muove spesso.
A Baracoa si resta.
Fino a un pugno d’anni fa, l’unica via era d’acqua, e ora che c’è un aeroporto con qualche rado volo e un paio di recenti righe tracciate sulle mappe sino a Holguín e Santiago, la strada è tuttavia ancora lunga per sentirsi qui come a Cuba.
Baracoa è un ecosistema a sé.
Dove la maggior parte degli abitanti non è mai uscita dal giardino di palme reali e di jagrumas che si estende a perdita d’occhio, incastonato tra le montagne.
Ogni passo, gesto, fronda qui ha il suo suono, accolto nel silenzio, gustato fino a spegnersi in una quiete senza rumore.
Anche il gallo interpreta un assolo tutto suo e ulula a una falce di luna orizzontale sin dalle tre del mattino.
La pioggia scandisce il metronomo con solerzia quotidiana, picchiettando leggera prima dell’alba e nel tardo pomeriggio, mentre la musica zampilla ovunque: strilla dalle case spalancate, con o senza porte, romba all’accensione delle macchine, si balla la sera nella poco più che turistica Casa de la Trova, nella Terraza, per chi non ne abbia abbastanza di reggaetón, e nel ritrovo autentico del Patio, dove mi sono lasciata vivere tra gli equilibrismi timbrici dei Maravilla Yunqueña, nell’impasto perfettamente amalgamato di güiro e claves, spolverizzato dalla ritmica sgranata delle maracas, su cui far risaltare il dolce controcanto di due tenori e il granello di sale di un basso.
Il monte Yunque è il tesoro di quest’isola nell’isola.
Una divinità che dall’alto del Parque Humboldt tutto vede e che si raggiunge dopo una ripida camminata, guadando un fiume, attraversando i grumi di colore di una giungla sorretta da fusti di mango, cocco, cacao e caffé, immergendosi fino alle ginocchia in un cremoso fango rosso, per raggiungere una cima insolita, incredibilmente appuntita.
Una sommità da condividere con pochi, dove in trecentosessanta gradi di sguardo l’occhio si perde sulla cintura di monti più gentili, sorvola foreste sterminate, abbracciando per tre quarti il mare.
Pienamente rivelatrice della verde estasi cubana, l’ascesa allo Yunque è complice anche di un’altra scoperta, segreta, antica qual è la musica di questa terra.
Che nasce dai suoi uccelli come il Tocororo Guatini, dal mantello nazionale bianco rosso e blu, come il lento e timido Guacaica, dagli occhi mendaci quasi ciechi, o dall’esuberante picchio tropicale, il Carpintero Jabao.
Ascoltando il fraseggio sincopato del suo becco aguzzo, il sospetto diviene certezza: l’isola ha imparato a danzare al ritmo del suo canto
uppo pure esto articulo poetico pa Blanquita
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