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I tamburi bata'......................
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I tamburi bata'......................
Il tamburo, per i negri e per i criollos che crescono con essi, è l’alienazione, strappa loro l’anima: quando lo sentono pare loro di stare in cielo. E i suoi ritmi non cambiano poiché furono creati là in Africa e vennero con i negri.
La cosa singolare è che mai li dimenticano: arrivano bambini, passano anni e anni, invecchiano, e poi, quando servono solo come guardiani, li intonano solitari, in un bohio pieno di cenere e scaldandosi alla fiamma che arde davanti a loro, e si ricordano della loro terra, anche prossimi a scendere nella tomba
(Anselmo Suarez y Romero,
poeta cubano).
I tambores batá sono i tre tamburi di origine yoruba usati nei rituali della Santería; essi, si dice, sono stati creati da Changó per accrescere il suo potere e per terrorizzare i nemici. A differenza degli yuka congolesi del Palo Monte, i batá sono strumenti bimembranofoni, con cassa a forma di clessidra, che vengono toccati dal tamborero, "a mano limpia", in entrambe le parti.
Il batá, ricettacolo culturale e battito cardiaco delle genti africane di Cuba, è costruito, così come il Tablero de Ifá usato per la divinazione, con legno di cedro o di caoba. Ha membrana (auó) in cuoio di capra o di cervo. Quella più grande è chiamata enú, ossia bocca, la piccola è la chachá, la culatta del tamburo. Il sistema di tensione delle membrane è assicurato mediante tiranti longitudinali (tina) di cuoio di toro (tina-owo-malú). Il tamburo maggiore, sempre in posizione centrale, è chiamato Iyá (madre), il mediano Itótele o Omelé enkó, e quello più piccolo Kónkolo, Okónkolo ma anche Omelé.
Al loro interno alberga Añá, messaggera degli dei e potenza soprannaturale guerriera, che li difende lottando contro i loro nemici. Da Añá i tamburi yoruba ricevono il loro nome sacro; nella loro dimensione sacra essi sono infatti chiamati aña o añá (probabilmente dalle voci yoruba dza o adzá), mentre il loro nome profano è ilú.
Poiché i batá sono costruiti generalmente copiando altri tambores più vecchi, le loro misure tendono ad essere rituali e inalterabili. Il maggiore, Iyá (o Mayor) è alto 80 cm, ha la bocca maggiore (o Enú) di 32 cm diametro e 97 cm di circonferenza e la bocca minore di 20 cm di diametro e 65 di circonferenza; è inoltre provvisto di una fila di campanelle (Chaworó). Il tambor mediano, Itotelé (o Segundo), è alto 68 cm, ha la bocca maggiore di 25 cm di diametro e 80 cm di circonferenza e la bocca minore di 16 cm di diametro e 58 cm di circonferenza. Il più piccolo, Okónkolo è alto 58 cm, ha la bocca maggiore di 22 cm di diametro e 62 cm di circonferenza e la bocca minore di 17 cm di diametro e 56 cm di circonferenza.
L’apprendistato per il suonatore di tamburi batá avviene attraverso un sistema, che i cubani chiamano di depupilaje e nel quale il discepolo deve assimilare i differenti suoni che i tamburi permettono; ogni oricha ha un suo toque particolare e ogni tamburo possiede un suo proprio modo di essere toccato a seconda dell’oricha interessato. Per esempio, se si suona per Elegguá, il tamburo maggiore, Iyá, che marca il ritmo in modo costante, sostiene una sua cadenza, l’Itótele la sua e l’Okónkolo una sua differente da quella degli altri due; poiché nessuno dei tre tamburi viene "toccato" in modo uguale e poiché ognuno di essi offre suoni diversi per ogni oricha, la ricchezza ritmica che ne consegue è incomparabile e davvero ampia.
La cosa singolare è che mai li dimenticano: arrivano bambini, passano anni e anni, invecchiano, e poi, quando servono solo come guardiani, li intonano solitari, in un bohio pieno di cenere e scaldandosi alla fiamma che arde davanti a loro, e si ricordano della loro terra, anche prossimi a scendere nella tomba
(Anselmo Suarez y Romero,
poeta cubano).
I tambores batá sono i tre tamburi di origine yoruba usati nei rituali della Santería; essi, si dice, sono stati creati da Changó per accrescere il suo potere e per terrorizzare i nemici. A differenza degli yuka congolesi del Palo Monte, i batá sono strumenti bimembranofoni, con cassa a forma di clessidra, che vengono toccati dal tamborero, "a mano limpia", in entrambe le parti.
Il batá, ricettacolo culturale e battito cardiaco delle genti africane di Cuba, è costruito, così come il Tablero de Ifá usato per la divinazione, con legno di cedro o di caoba. Ha membrana (auó) in cuoio di capra o di cervo. Quella più grande è chiamata enú, ossia bocca, la piccola è la chachá, la culatta del tamburo. Il sistema di tensione delle membrane è assicurato mediante tiranti longitudinali (tina) di cuoio di toro (tina-owo-malú). Il tamburo maggiore, sempre in posizione centrale, è chiamato Iyá (madre), il mediano Itótele o Omelé enkó, e quello più piccolo Kónkolo, Okónkolo ma anche Omelé.
Al loro interno alberga Añá, messaggera degli dei e potenza soprannaturale guerriera, che li difende lottando contro i loro nemici. Da Añá i tamburi yoruba ricevono il loro nome sacro; nella loro dimensione sacra essi sono infatti chiamati aña o añá (probabilmente dalle voci yoruba dza o adzá), mentre il loro nome profano è ilú.
Poiché i batá sono costruiti generalmente copiando altri tambores più vecchi, le loro misure tendono ad essere rituali e inalterabili. Il maggiore, Iyá (o Mayor) è alto 80 cm, ha la bocca maggiore (o Enú) di 32 cm diametro e 97 cm di circonferenza e la bocca minore di 20 cm di diametro e 65 di circonferenza; è inoltre provvisto di una fila di campanelle (Chaworó). Il tambor mediano, Itotelé (o Segundo), è alto 68 cm, ha la bocca maggiore di 25 cm di diametro e 80 cm di circonferenza e la bocca minore di 16 cm di diametro e 58 cm di circonferenza. Il più piccolo, Okónkolo è alto 58 cm, ha la bocca maggiore di 22 cm di diametro e 62 cm di circonferenza e la bocca minore di 17 cm di diametro e 56 cm di circonferenza.
L’apprendistato per il suonatore di tamburi batá avviene attraverso un sistema, che i cubani chiamano di depupilaje e nel quale il discepolo deve assimilare i differenti suoni che i tamburi permettono; ogni oricha ha un suo toque particolare e ogni tamburo possiede un suo proprio modo di essere toccato a seconda dell’oricha interessato. Per esempio, se si suona per Elegguá, il tamburo maggiore, Iyá, che marca il ritmo in modo costante, sostiene una sua cadenza, l’Itótele la sua e l’Okónkolo una sua differente da quella degli altri due; poiché nessuno dei tre tamburi viene "toccato" in modo uguale e poiché ognuno di essi offre suoni diversi per ogni oricha, la ricchezza ritmica che ne consegue è incomparabile e davvero ampia.
mosquito- Admin
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