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Messaggio Da mosquito Lun 16 Dic 2013 - 2:39

Davide Barilli ,un D'Artagnan desde Parma(dalla Gazzetta locale..) 450px-Davide_barilli

Sulle pagine del Corriere della Sera così Alberto Bevilacqua scrive di Davide Barilli:
“Amante dei viaggi in Centroamerica, Barilli ha alle spalle romanzi riconosciuti di rigore letterario, che l’ hanno posto in evidenza fra i nuovi narratori emiliani. In questo libretto (Carte D’Avana) c’è la verità sulla Cuba di oggi: annotata, vissuta dal di dentro, senza esotismi di maniera, miti che non esistono più. Tante le citazioni possibili. Si resta stupiti da piccoli scorci. L’ arrivo dell’ «apagòn», ossia del buio che annulla contorni e profili, e si va dal «Babalao», il santone, che accende una manciata di candeline rosse, e poi appare con una torta rosa, in una luce fiammeggiante stregonesca. È il compleanno del nulla, in onore del buio padrone delle baie enormi. E poi c’ è Juan, il ragazzino che porta le notizie che mai si leggeranno sul «Granma», il giornale del partito. Scomparse misteriose, incidenti, arresti: Juan detto «Radio Bemba», con le informazioni che scivolano sotto la griglia della censura. Affascina, Barilli, quando ci convince che la verità di certi angoli del mondo sta in un apparente «micro» da rendere luminoso nella sua natura eccentrica, anche sconvolgente. Conferma di un’ editoria appartata, ma preziosa”.
Ho intervistato Davide Barilli (che avevo già avuto modo di ospitare su Letteratitudine con il suo Le cere di Baracoa)


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- Davide, perché questo grande interesse per Cuba?

Perché mi ricorda la bassa padana di mezzo secolo fa, quella che non ho visto con i miei occhi ma che mi è stata tramandata. Sono mondi che amo, anche se molto diversi. La Bassa, a ben pensarci, ha un che di sudamericano, con le sue distese infinite e nebbiose che ricordano la pampa. Luoghi dove è facile perdersi. C’è poi nella tradizione letteraria emiliana un lunatico immaginare stravolto da un orizzonte paesaggistico privo di limiti, dilatato, che scioglie i confini e materializza i fantasmi. È un imprinting che ho ritrovato, per certi versi, a Cuba. Non certo nei luoghi privilegiati dal turismo, ma nelle aree periferiche, desolate, come la parte orientale dell’isola, quella che a Cuba chiamano Palestina, una zona depressa fatta di città che si chiamano Moa, Banes o Mayarì, ma straordinariamente ricca di umanità e di storie. Mi piace imbattermi, come accade in questa Cuba povera e allegra , in personaggi anomali, inimitabili, a volte assurdi, che ho raccontato ne ”Le cere di Baracoa”, come il mio giocatore di scacchi sordomuto, allievo del grande Capablanca, oppure Barroso il bicicletero o i vecchi guajiros delle campagne. Gente curiosa e aperta al prossimo, gente che sa ancora raccontare storie, gente che ama il dialogo degli sguardi, conscia che ogni incontro è un luogo di vita.

- Cosa consiglieresti a un turista italiano che decidesse di andare in vacanza all’Avana per la prima volta?


Avana è una delle città più straordinarie del mondo. Basta perdersi dentro di lei, vivendola dal di dentro provi la sensazione di essere un re sull’orlo di un abisso. Quest’anno sto per tornare all’Havana e andrò alla Feria internazionale del libro. Un’esperienza interessante, specie dal punto di vista umano. Dimenticando l’aspetto propagandistico, particolarmente accentuato da opuscoli, raccolte e libri stampati per tener vivo il mito della Revolucion, si respira, cosa che accade sempre più di rado nei festival culturali italiani, un clima di partecipazione collettiva gioiosa. Sarà merito del luogo, il castello del Morro, un posto suggestivo e carico di storia proprio sulla baia dell’Havana, o della voglia di cultura che anima i partecipanti, ma certamente si vive un’atmosfera di spontanea voglia di cultura che coinvolge giovani intellettuali, famiglie, studenti universitari. È la parte nuova di Cuba, assetata di novità che arrivano da altri Paesi, quella che fa sperare in un futuro migliore.

- Che sensazioni hai provato nel vedere il tuo testo mischiato alle immagini di Gerardo Lunatici?

Carte d’Avana è il secondo libro di una piccola collana, intitolata Riflessi, della casa editrice Fedelo’s con cui pubblico brevi testi corredati da immagini di pittori stimati. Grazie alla libertà che mi concede l’editore Andrea Marvasi, ho potuto scegliere io gli illustratori. E nel caso di Carte d’Avana non ho avuto dubbi nel proporre a Lunatici di collaborare con me. Perché è un pittore evocativo e di talento, lo dimostrano questi acquerelli dolenti e silenziosi, adatti a rappresentare un’Avana diversa da quella turistica. Va detto che il libro nasce come una scheggia del mio ultimo romanzo “Le cere di Baracoa”. E’ una raccolta degli appunti che ho accumulato sui miei taccuini durante gli ultimi viaggi a Cuba, in particolare nella capitale; appunti fatti di incontri, sensazioni, paesaggi, abbozzi di storie. E’ composto da solo 48 pagine, edito da un nuovo editore coraggioso, ma devo dire che l’accoglienza della critica mi ha stupito; buon ultimo ne ha ampiamente parlato Alberto Bevilacqua sul Corriere della sera.


- Come immagini il futuro di Cuba?

Ogni cubano ripete come una litania una frase: No es facil. Ma la parola che meglio rappresenta la Cuba di questo periodo è un’altra. Ricordo un tipo che trasportava sulla bici, in una strada piena di buche, vicino alla città di Banes, un paio di grossi maiali legati per le zampe. Su di essi aveva appeso un cartello con la scritta “Eventual”. Ecco, questa e’ la parola. Tutto è eventuale e possibile in questa Cuba che si sta preparando al dopo Fidel. Come e’ sempre stato, la provincia vive un clima di attesa sonnolenta. Molto diversa e’ la situazione nella capitale. La gente, rispetto ad alcuni anni fa, non ha paura ad esprimere la propria opinione, almeno fra le quattro pareti domestiche. Molti riconoscono che la casa e la sanità, praticamente entrambe gratuite, sono una conquista importante della rivoluzione castrista, ma sono stanchi delle difficoltà economiche e della impossibilità di uscire dal Paese. C’è un’incredibile fame di ciò che arriva da fuori. Tutti sanno che esiste un commercio clandestino di dvd, che con i satelliti si può vedere ciò che accade ad di fuori dell’Isla. All’Havana avevano aperto un centro commerciale enorme, il Trasval, dove si vendeva ogni ben di dio in campo tecnologico, dagli Mp 4 ai forni a micro onde digitali che costano 135 dollari cubani, i cosiddetti cuc. Ma anche set di cacciavite (23 dollari), piccoli elettrodomestici per la casa, attrezzatura per campeggio. La merce è quasi tutta cinese, speso un trionfo del kitsch, dai cani di ceramica ai quadretti fosforescenti che rappresentano paesaggi alpestri o campi di girasole. Questo negozio – oggi chiuso – era una sorta di cattedrale nel deserto re albero di cuccagna contemporaneamente che conviveva con la povertà dei negozi frequentati da gran parte dei cubani. Fuori, a pochi metri, ci sono le bodegas dove per pochi pesos si vendono riso e fagioli neri con la libreta. Oppure antichi cinema che stanno per crollare trasformati in empori dove i cubani che guadagnano gli stipendi in pesos (venticinque pesos equivalgono a un dollaro) trovano abiti riciclati, lampadine, candele, rotoli di carta igienica sfusi e altra mercanzia povera e triste. È solo uno degli esempi tangibili della doppia economia che vige nel Paese. Un medico guadagna circa venti, venticinque dollari al mese; un impiegato quindici. Chi può permettersi quel forno a micro onde? Pochissimi, chi riceve i soldi dai parenti scappati a Miami oppure chi traffica con i turisti, non a caso – le rimesse dall’America e il turismo – le due voci più significative dell’economia cubana”.


- Il passaggio da Fidel al fratello Raul?


È il grande interrogativo per tutti. La gente, all’Havana, sta con il fìato sospeso. Ma non tanto per motivi ideologici. Quanto per il dubbio su ciò che potrà accadere. L’argomento di conversazione primario, fra la gente, è il denaro. Tutti parlano di soldi, dal vecchietto che cerca di venderti la banconota da tre pesos con impressa la faccia del Che per un dollaro, alla jinetera che vende il proprio corpo per comprarsi un paio di jeans europei. Mentre sarò a Cuba, in febbraio, ci sarà (il 23) l’anniversario della morte di Orlando Zapata, un dissidente morto dopo un lungo sciopero della fame. Qualcuno pensa che potrebbero esserci momenti di tensione. Non si sa cosa accadrà. Nonostante le annunciate aperture di Barack Obama verso l’Isla, resta davvero un mistero quale sarà l’evoluzione politica interna. Il vero cambiamento riguarda l’immagine da dare all’estero. I cubani hanno capito che l’importante è l’apparenza. Il centro storico dell’Havana, la parte turistica intorno alla Cattedrale a plaza veja, è ormai un gioiello, peccato che stia trasformandosi in un museo, un luogo interdetto ai cubani: di sera si vedono solo turisti e polizia. Un’altra novità riguarda il maquillage che sta avvenendo sul Malecon, oggetto di un’operazione di restauro, con il contributo di una società tedesca, destinato a cancellare per sempre dalle antiche case che si affacciano sull’oceano quell’immagine di decadenza fascinosa che caratterizzava il leggendario lungomare havanero. Insomma, il tentativo è di dare un’immagine da cartolina rassicurante, di una città rimessa a nuovo, anche se basta percorrere pochi passi, avventurarsi nei vicoli interni, per imbattersi negli antichi palazzi devastati, dai soffitti che crollano, abitati da migliaia di cubani che ogni giorno si rimettono in gioco per inventarsi una vita sempre più difficile.


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Messaggio Da mosquito Lun 16 Dic 2013 - 2:46

http://davidebarilli.blogspot.it/

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Davide Barilli ,un D'Artagnan desde Parma(dalla Gazzetta locale..) Barilli%2BaTrinidad

Davide Barilli Scrittore parmigiano,
è pronipote d'arte e di letteratura (vedi Bruno Barilli). Redattore della Gazzetta di Parma, nel 1989 ha pubblicato il suo primo romanzo 'La fascia del turco', recensito, tra gli altri, da Giacinto Spagnoletti, Giovanni Giudici e Giorgio Cusatelli. Con i suoi racconti ('La casa sul torrente e 'Poltrona per acqua', ha confermato il suo talento, costruendo storie raffinate e originali. Con 'Musica per lo zar', la cui idea iniziale nacque da un manoscritto di un suo lontano parente che ai tempi della Rivoluzione bolscevica aveva girato la Russia suonando in un'orchestrina, Barilli si discosta dai precedenti romanzi collocandosi nel genere picaresco. Con 'Le cere di Baracoa' torna a mescolare le storie, tra immaginazione e memoria, raccontando le peripezie dell'io narrante nella Cuba più povera e polverosa, sulle tracce dell'ombra di un personaggio realmente esistito tornato in Italia dopo mezzo secolo per vendicarsi di un tragico fatto accaduto alla fine della seconda mondiale. A Cuba ha dedicato anche i suoi ultimi libri: 'Carte d'Avana', 'La ragazza di Alamar' e 'Il gallo in bicicletta', tutti ambientati nell'isola caraibica.


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Messaggio Da mosquito Lun 16 Dic 2013 - 2:47

mosquito ha scritto:http://davidebarilli.blogspot.it/

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lindo como..Trinidad?  Rolling Eyes 
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Messaggio Da mosquito Lun 16 Dic 2013 - 2:50

Davide Barilli ,un D'Artagnan desde Parma(dalla Gazzetta locale..) 539571_10200447696508586_2026843991_n

https://www.facebook.com/davide.barilli.9

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Messaggio Da mosquito Lun 16 Dic 2013 - 3:08

Davide Barilli ,un D'Artagnan desde Parma(dalla Gazzetta locale..) Alamar

questo ultimo l'ha fatto uscire pure in versione española con traduzione di un cubano..
e illustrato dal quotato cugino..
ojala'.. tocchera' leggerlo.. t319


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Messaggio Da mosquito Lun 16 Dic 2013 - 3:10

''Penna e colori, tropici barilliani''

Giuseppe Marchetti (Gazzetta di Parma, sabato 14 luglio 2012)

Dopo «Le cere di Baracoa» (nella terna vincitrice del premio Fabriano 2010) e «Carte d'Avana» (edito da Fedelo's, premio Microeditoria 2011) Davide Barilli torna, con «La ragazza di Alamar» (sempre Fedelo's editrice, nella collana «Riflessi», giocata sulla sinergia tra testo e immagini) sul diletto argomento cubano, prendendo spunto da una singolare angolazione prospettica che è quella, classica, delle parole, anzi: delle definizioni. Definizioni che trovano splendido riscontro nelle tavole a colori di Francesco Barilli, piene di un fascino carnoso e immaginoso. Nove tavole, undici le parole, cioè i capitoli del racconto, che trovano una puntuale e precisa versione in spagnolo nella traduzione del cubano Angel Carballo Camino.

Se in «Carte d'Avana» Barilli aveva raccolto orme, passi, pensieri, spiriti e caratteri d'una Cuba antica e recente con impietosa ma anche dolcissima malinconia, in «La ragazza di Alamar» il riscontro narrativo affonda nel corpo della voce e delle voci, partendo da un'esperienza personale, come sempre, ma anche da un'invenzione che è, per dirla con un vecchio e nobile titolo gaddiano di Roberto Roversi, «registrazione di eventi», e quasi pellegrinaggio alla scoperta di un labirinto di sentimenti, credenze, miti e ancestrali innocenze. Le tappe sono quelle di un anomalo alfabeto: Almendrón, Barbacoa, Cambolero, Después de la lluvia, Escarcha de unas, Fumigador, Guagua, Herbiero, Avenida de Italia, Llega y pón, Malecón (...le altre lettere, fino alla Z, verranno raccontate in un secondo volume). Barilli con questo suo vocabolario di auto americane, traballanti soppalchi di legno, venditori di crack, odori, dipintrici di unghie, sparatori di fumo, specialisti delle virtù delle erbe, case fatiscenti, conduttori di mezzi di trasporto di ogni forma e provenienza lungo l'Avenida de Italia e il nastro d'asfalto assolato del Malecón, ci mette davanti agli occhi una Cuba che non appartiene né alle facili immagini del turismo di massa, né ai severi riscontri di quello socialmente evoluto. Si sta, dunque, in una via di mezzo: e ci si sta bene, perché è una zona di conoscenze che, come vuole Barilli, s'intrecciano e si sovrappongono alle nostre personali curiosità. Poiché davvero, questi capitoli di un unico racconto vivono e palpitano di curiosità, con una particolare attenzione – che è anche dimestichezza – verso l'impalpabile atmosfera della terra cubana, proprio quando Barilli confida nell'io che gira per l'isola. Il suo viaggio, in realtà, non finisce mai, da L'Avana ad Alamar dove incontra una misteriosa e sfuggente figura di donna che l'accompagna e lo intriga: ma non è un'avventura amorosa bensì la guida per scoprire certi misteri che alla fine, poi, rimangono assolutamente tali. Da qui, il fascino del racconto e della sua intima poesia che, per esempio, lo «herbiero» quasi muterà in miracolo di San Lazzaro.

Ci troviamo dunque davanti non solo l'esito di un soggiorno non casuale fra gli abitanti di Cuba, con i loro «santuari», le loro bettole, i temporali violenti (Barilli ci racconta anche l'odore della terra dopo la pioggia), il pellegrinaggio a San Lazzaro e la visita a Santiago de las Vegas dove nacque Italo Calvino, ma una vera e propria mappa di quei caratteri e ambienti che altri narratori cubani, per esempio Reinaldo Arenas e Humberto Arenal ma soprattutto il grande Guillermo Cabrera Infante hanno codificato e descritto lungo l'asse di quelle che Angel Rama definì «le testimonianze della decrepitezza» e Borges, invece, la «felicità della materia narrativa». Barilli, da scrittore italiano, raccoglie gli echi di tali diversità e li riconduce alla propria memoria delle parole diventate personaggi viventi.
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Messaggio Da mosquito Lun 16 Dic 2013 - 3:20

Giuseppe Marchetti
Sta prendendo consistenza nel nostro Paese un piccolo ciclo narrativo dedicato al mondo e ai personaggi della terra cubana. Ce lo prepara e costruisce con ammirevole grazia e ironia - quando non addirittura con venature tragicomiche - Davide Barilli attraverso brevi racconti di vita che sono altrettanti squarci illuminanti sulla realtà di un universo solo così apparentemente lontano da noi, ma invece ricchissimo di richiami e di suggestioni che danno un'idea molto precisa di quello che giornalisticamente e filosoficamente viene definito come il Sud del mondo. Davide Barilli, redattore della Gazzetta di Parma e scrittore per vocazione è dotato di una curiosità che supera di molto i soliti intrecci delle relazioni di viaggio e dei réportages che i viaggi stessi suggeriscono. E' dotato di una curiosità, per la precisione, che s'immerge nel tessuto vivo di un luogo, Cuba, le sue case, le sue strade, i suoi abitanti e i suoi misteri, aggirandovisi come se si trovasse a Parma, a Roma o a Napoli. La raccolta vivacissima che Barilli compie con estrema naturalezza, seminando di particolari la propria narrazione e inventandone i contorni, è come quella che farebbe una paziente guida per un viaggiatore pieno di giuste pretese. Il cammino cominciò tre anni fa nella collana Riflessi della Fedelo's editrice di Parma. Barilli vi pubblicava «Carte d'Avana», con disegni di Gerry Lunatici, seguito da «La ragazza di Alamar», illustrazioni di Francesco Barilli e testo tradotto da Angel Carballo Camino. E ora è la volta de «Il gallo in bicicletta» arricchito da immagini incise dall'artista cubano Ramon Perez Pereira e da una doppia traduzione, in spagnolo di Cella Iglesias Ledesma e in cubano di Angel Carballo Camino. Se «La ragazza di Alamar» era ambientato in una Avana piovosa, tra bettole malfamate, chiese, strade percorse da vecchie e coloratissime automobili e personaggi d'indecifrabile provenienza, «Il gallo in bicicletta» - che sarà presentato venerdì, ore 18, alla Feltrinelli di via Farini da chi redige queste note, dall'editore Andrea Marvasi e dall'autore - è dedicato ad un solo ed eccezionale personaggio, Alejandro Herrera, che dopo una decina d'anni di vita da pensionato «pensò che per risolvere la sua vita doveva cambiare le regole della lotteria». Però, come scriveva Borges in «Finzioni» drammaticamente «queste lotterie fallirono. La loro virtù morale era nulla. Non si rivolgevano a tutte le facoltà dell'uomo: solo alla sua speranza». Barilli cita Borges e fa bene. Il suo personaggio è davvero votato alla sfida dell'esistenza, ed è qui che il narratore abilmente punta creando una vivacissima curiosità d'intrecci e di suggestioni.
Il povero Herrera giocando alla lotteria vietata da Fidel Castro sa di correre un grosso pericolo «come parassita sociale», ma dà ascolto ad una «santiaguera sdentata» che si chiama Yusnavis in contatto, forse, con gli spiriti e i santi. Herrera però possiede un incredibile passato che si scontra col gran libro di Borges, con «Finzioni» appunto, ripescato quasi topo morto da un cassonetto, e la sua «bolita», la sua lotteria illegale, lo trascina all'incontro con un grosso gallo che egli chiamerà Rogelio addestrandolo per i combattimenti clandestini. Avrebbe voluto insegnargli anche ad andare in bicicletta, ma non vi riuscì. A questo punto, il racconto comincia a prendere una strana piega che culminerà in un finale quasi surreale. Si torna alla memoria di una ragazza di Livorno dal corpo di modella, che influenza uno strano rito di numeri, lotterie, sogni e speranze. E qui Barilli compie, con un estremo scarto di fantasia e un imprevedibile salto di tempo e di luogo, il destino del protagonista e del suo gallo, l'ultima speranza e l'ultima «finzione». Borges aveva proprio ragione.
Il gallo in bicicletta - Fedelo's ed., pag. 82, euro 10,50
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