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Cristo (Francisco ndr.)dopo Castro
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Cristo (Francisco ndr.)dopo Castro
Papa Francesco dal 19 al 28 settembre sarà impegnato nel viaggio apostolico a Cuba e negli Stati Uniti.
La Sala Stampa Vaticana ha reso noto il programma del viaggio che, come sempre, sarà ricco di incontri, discorsi e celebrazioni eucaristiche.
La partenza, si legge sul sito della Radio Vaticana, “è prevista per sabato 19 settembre da Roma alle 10.15 con arrivo all’aeroporto de La Habana alle 16 ora locale dello stesso giorno, con la giornata chiusa dalla cerimonia di benvenuto.
Nella capitale cubana, il giorno dopo, domenica, Francesco celebrerà la Messa sulla Plaza de la Revolucion, seguita dalla visita di cortesia a Raùl Castro, presidente del Consiglio di Stato e del Consiglio dei Ministri della Repubblica, e successivamente dalla celebrazione dei Vespri con sacerdoti, religiosi, religiose e seminaristi nella cattedrale della città. La giornata terminerà con il saluto ai giovani del Centro Cultural Padre Félix Varela”.
Lunedì 21, il Papa “lascerà La Habana per Holguin, dove celebrerà la Santa Messa prima di partire per Santiago. A Santiago, dove trascorrerà la notte, incontrerà i Vescovi, nel Seminario San Basilio Magno, si sposterà poi al Santuario della irgen de la Caridad del Cobre per la preghiera con i vescovi e il seguito papale”.
“Il giorno successivo, martedì 22 settembre, sempre nel Santuario, celebrerà la Santa Messa, mentre nella Cattedrale di Nostra Signora dell’Assunzione incontrerà le famiglie”. Poi “si congederà dalla città e dall’isola di Cuba per volare a Washington, prima tappa della visita agli Stati Uniti. Alla Andrews Air Force Base si svolgerà la cerimonia di accoglienza ufficiale, mentre la cerimonia di benvenuto è spostata al giorno successivo, il 23 settembre, nel South Lawn della Casa Bianca con la visita di cortesia al presidente degli Usa, Barack Obama. Nella cattedrale cittadina, subito dopo, il Papa incontrerà i vescovi Usa, mentre nel pomeriggio, come ultimo appuntamento della giornata, celebrerà la Santa Messa con la canonizzazione del Beato P. Junipero Serra nel Santuario Nazionale dell’Immacolata Concezione”.
Giovedì 24, la giornata prevede la visita al Congresso degli Stati Uniti d’America, la visita al Centro caritativo della parrocchia di St. Patrick, con l’incontro con i senzatetto, e poi la partenza per l’aeroporto JFK di New York dove, prima della fine della giornata, celebrerà i Vespri con il clero, le religiose e i religiosi nella Cattedrale di S. Patrizio.
Il 25 settembre è in programma la visita alla sede dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, poi l’incontro interreligioso al Memorial di Ground Zero e la visita alla scuola «Nostra Signora, Regina degli Angeli», ad Harlem, con l’appuntamento con bambini e famiglie immigrati. Alle 18 la Santa Messa nel Madison Square Garden.
Sabato 26 inizia con la partenza per Philadelphia, dove giungerà meno di un’ora dopo per celebrare la Santa Messa con i vescovi, il clero, religiosi e religiose della Pennsylvania nella Cattedrale dei Santi Pietro e Paolo. Nel pomeriggio, si legge sempre sul sito della Radio Vaticana, “l’incontro per la libertà religiosa con la comunità ispanica e altri immigrati nella Independence Mall. Spostamento poi al B.Franklin Parkwau per la festa delle famiglie e la veglia di preghiera”.
L’ultimo giorno, domenica 27 settembre, si aprirà con l’incontro con i vescovi ospiti dell’Incontro Mondiale delle Famiglie nel Seminario San Carlo Borromeo e proseguirà con la visita ai detenuti nell’Istituto di Correzione Curran-Fromhold, con la Santa Messa conclusiva dell’VIII Incontro Mondiale delle Famiglie di nuovo nel B.Franklin Parkway. All’aeroporto di Philadelphia, prima del volo che lo riporterà in Vaticano, Francesco saluterà il comitato organizzatore, i volontari e i benefattori e si congeda dagli Stati Uniti. L’arrivo all’aeroporto di Roma Ciampino è previsto per lunedì 28 settembre alle ore 10.
albertico- Messaggi : 3204
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Re: Cristo (Francisco ndr.)dopo Castro
Lunedì 21, il Papa “lascerà La Habana per Holguin,
dove celebrerà la Santa Messa prima di partire per Santiago.
bravo Francisco
e giusta la misa per le tante..enfermere holguinere..
non è chiara todavia la location?
Guarda-la-vaca?
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Re: Cristo (Francisco ndr.)dopo Castro
Probabilmente en el mismo Parque jejejeje
albertico- Messaggi : 3204
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Re: Cristo (Francisco ndr.)dopo Castro
mosquito ha scritto:
bravo Francisco
e giusta la misa per le tante..enfermere holguinere..
non è chiara todavia la location?
Guarda-la-vaca?
Vedi il male ovunque tu ...jajajajajaj cismoso y bretero y bubarron
Descarao- Messaggi : 687
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Re: Cristo (Francisco ndr.)dopo Castro
Mosquito bugarron?
albertico- Messaggi : 3204
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Re: Cristo (Francisco ndr.)dopo Castro
albertico ha scritto:Mosquito bugarron?
Claro que si ....lo dice ad altri ma sotto sotto lo e ......
Descarao- Messaggi : 687
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Re: Cristo (Francisco ndr.)dopo Castro
Descarao ha scritto:albertico ha scritto:Mosquito bugarron?
Claro que si ....lo dice ad altri ma sotto sotto lo e ......
ehhh....yo invece non ci metterei la ..pinguita sul fuego..
relativamente al Descarao..
mosquito- Admin
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Re: Cristo (Francisco ndr.)dopo Castro
http://www.cubanet.org/destacados/cuba-y-el-vaticano-el-milagro-que-no-llega/
Cuba y el Vaticano: el milagro que no llega
Los cubanos siguen emigrando hacia donde creen que Dios ha puesto su mano, más allá de la intervención de Su Santidad
Han transcurrido 17 años desde que un jefe del Estado Vaticano visitara por primera vez esta Isla. En 1998 Juan Pablo II llegó a Cuba precedido por una fama bien ganada: había jugado un papel importante en la transición polaca –su país natal–, donde finalmente se alcanzó la democracia tras décadas de subordinación al comunismo soviético.
Tales credenciales del Papa Peregrino despertaban expectativas entre muchos cubanos, todavía golpeados por la más profunda crisis económica de su historia, y esperanzados también en la posibilidad de una eventual transición derivada de alguna “flexibilización” del rígido centralismo de la economía y la política en la Isla. Asumían razonablemente que después de tantas carencias y malvivir solo cabía mejorar. Por otra parte, era excepcional que un Papa nos prestigiara con su presencia. La vanidad nacional alcanzó cotas inéditas, y los más optimistas del momento esperaban que, además, el prestigio de Józef Wojtyła influyera positivamente en una voluntad aperturista del gobierno cubano.
Para mayor ilusión, el discurso de Juan Pablo II ante una plaza colmada por una mezcla de fieles y diletantes de ocasión, y frente a la gigantesca imagen del Che Guevara, hizo una abierta referencia a la necesidad de romper el aislamiento que sufrían los cubanos como consecuencia del sistema político: “ábrase Cuba al mundo”, dijo en su inspirada homilía ante la muchedumbre delirante que lo escuchaba extasiada y llena de esperanzas, como si el solo hecho de que el Sumo Pontífice lo sugiriera se fuera a producir, por ósmosis, el milagro de la libertad y la democracia para Cuba.
La multitud, sin embargo, tenía sus motivos para creer en milagros. A fin de cuentas el propio gobierno que apenas una década antes de la llegada del Papa se autoproclamaba comunista y ateo, y que había hostigado durante 30 años a los creyentes de cualquier denominación religiosa, marginándolos y excluyéndolos en lo que fue una verdadera cruzada al revés –contra los fieles a Dios–, había obrado el sortilegio de transitar del más acendrado odio hacia todo lo que representara religiosidad, a legalizar todos los credos, e incluso a bendecir la entrada de religiosos a las filas del Partido Comunista. Y lo había logrado sin gradaciones, sin levantar suspicacias y, lo más relevante, sin que nadie le exigiera cuentas, dado que una de las más inefables virtudes autóctonas consiste en confundir la justicia con la amnesia.
Indudablemente, colocar a Dios y a Marx en un mismo altar fue un aporte espiritual de la revolución que no ha sido debidamente reconocido. Surgió así un nuevo espécimen en la fauna socialista: el comunista-místico; y súbitamente ser creyente se convirtió casi en un adorno de moda. Crucifijos cristianos y collares de santería de herencia africana proliferaron alegremente entre nosotros, muchas veces mezclados entre sí, con tanta naturalidad como si jamás hubiesen sido proscritos, como si no hubiesen sido fusilados decenas de jóvenes cristianos en la Fortaleza de la Cabaña, no hubiesen existido las Unidades Militares de Apoyo a la Producción (UMAP) o no hubiese sido profundamente lastimada la espiritualidad religiosa que había sido siempre parte esencial de la cultura nacional.
Para cuando Juan Pablo II nos honró con su presencia éramos un país tan democráticamente religioso que el propio Monseñor Carlos Manuel de Céspedes confesaba tener tras su puerta fetiches de santería. Ni qué decir del Pecador en Jefe, quien recibió personalmente al Santo Padre y fue bendecido por éste y por Dios, a pesar de que se saltó el trámite de la confesión.
No obstante, el saldo general de la visita de Juan Pablo II fue positivo, en especial para la Iglesia Católica cubana, que ganó nuevos espacios sociales, experimentó una discreta animación y hasta fundó revistas que, aunque no cuentan con una gran tirada, sí son toleradas por el gobierno y gozan de reconocimiento entre la población. De paso recuperamos las navidades, y además el clero autóctono consiguió permiso para que la Virgen de la Caridad pudiera dar un breve paseo –a manera de procesión– cada mes de septiembre.
Y también desde entonces el mundo se abrió un poco hacia Cuba, aunque tras la partida de Wojtyła y hasta la actualidad, la mayoría de los cubanos siguen encerrados en esta Isla-cárcel sin libertades democráticas y sin la posibilidad del ejercicio pleno de sus derechos.
La segunda visita papal fue en 2012, cuando Joseph Ratzinger, como Benedicto XVI, pasó revista por la feligresía de la hacienda en ruinas, principalmente para conseguir algunas concesiones del Pecador Sustituto para con la Iglesia. En esta ocasión la esperanza popular había sufrido una considerable merma, pero Benedicto pronunció también su homilía ante una masa de fieles –en la que hubo numerosos representantes de la emigración cubana–, nos lanzó otra andanada de bendiciones de corto alcance y se marchó, no sin antes presenciar un pequeño desorden provocado por un opositor político que gritó consignas contra el gobierno y que fue brutalmente reducido a golpes por un grupo de miembros de la Cruz Roja nacional, mientras a su alrededor los corderos del rebaño permanecían impávidos, sin siquiera emitir un balido.
Benedicto XVI en la Plaza, La Habana (foto de internet)
Benedicto XVI en la Plaza, La Habana (foto de internet)
Ahora corresponde el turno al carismático Papa Francisco. Viene a Cuba en este controvertido año 2015 con unas credenciales envidiables. Si no bastaran su condición de ser nativo latinoamericano, haber estado entre de los religiosos que animaron la Teología de la Liberación, llevar adelante una depuración de la Iglesia Católica desarrollando a la vez una fiera acometida contra la corrupción dentro del propio Vaticano, o mostrar una austeridad y humildad propias del santo del cual tomó su nombre como Sumo Pontífice, tiene el mérito extraordinario de haber sido mediador en el actual acercamiento entre los gobiernos de Cuba y Estados Unidos, ayudando así a poner fin a una hostilidad de medio siglo, que ha definido la política y la vida nacional cubanas.
Con semejante currículo, sumado a una capacidad inspiradora tan rotunda que hasta el General-Presidente en su reciente encuentro con el Santo Padre experimentó una suerte de epifanía y prometió “volver a rezar” –lo cual demuestra que la metamorfosis de religioso a militante del PCC puede ser reversible–, cabría suponer una avalancha de expectativas entre los cubanos ante la inminente visita. Sin embargo, esto no es lo que se percibe en las calles.
También la momentánea ola de esperanzas que levantara en la Isla el anuncio del 17D, se ha ido desvaneciendo ante la ausencia de cambios, pese a que ya no tenemos un enemigo a las puertas de casa. Y en ese escenario de apatía llegará Francisco. Llega a tiempo, antes de que la emigración termine por vaciar del todo la Isla. Porque aquellos que tenían unos pocos años cuando nos visitó Juan Pablo II, ya son adultos, y muchos han escapado de Cuba. Las ilusiones de prosperidad y de libertades se han estrellado contra el valladar del inmovilismo gubernamental, y ya los discursos crípticos de los representantes de Dios son insuficientes para levantar un nuevo capital de fe. Pocos creen aquí en bendiciones papales.
A fin de cuentas, también el Vaticano es un Estado, con gobierno, política e intereses propios. Y, –con perdón de los creyentes– ¡qué tanto podrían interesarle nuestras aspiraciones de libertad a quienes, al menos de jure, cifran sus mayores aspiraciones en el reino de los cielos y no en las realidades de la tierra! Hemos sido aletargados demasiadas veces por las palabras de falsos profetas como para cifrar nuestras expectativas en otro jefe de estado. Después de 17 años de que Juan Pablo II pisara tierra cubana, seguimos sin percibir los efectos de sus congratulaciones. Nadie –salvo los ilusos más contumaces– espera que ahora Francisco propicie el milagro de los cambios que tanto urgen a Cuba.
Por las dudas, decenas de miles de cubanos siguen optando cada año por buscar las bendiciones por su propia cuenta y riesgo, y siguen emigrando hacia donde creen que Dios ha puesto su mano sin necesidad de la intervención de Su Santidad del Vaticano. Y así será, al menos mientras el infierno verde olivo siga dictando las pautas en esta Isla maldita
Cuba y el Vaticano: el milagro que no llega
Los cubanos siguen emigrando hacia donde creen que Dios ha puesto su mano, más allá de la intervención de Su Santidad
Han transcurrido 17 años desde que un jefe del Estado Vaticano visitara por primera vez esta Isla. En 1998 Juan Pablo II llegó a Cuba precedido por una fama bien ganada: había jugado un papel importante en la transición polaca –su país natal–, donde finalmente se alcanzó la democracia tras décadas de subordinación al comunismo soviético.
Tales credenciales del Papa Peregrino despertaban expectativas entre muchos cubanos, todavía golpeados por la más profunda crisis económica de su historia, y esperanzados también en la posibilidad de una eventual transición derivada de alguna “flexibilización” del rígido centralismo de la economía y la política en la Isla. Asumían razonablemente que después de tantas carencias y malvivir solo cabía mejorar. Por otra parte, era excepcional que un Papa nos prestigiara con su presencia. La vanidad nacional alcanzó cotas inéditas, y los más optimistas del momento esperaban que, además, el prestigio de Józef Wojtyła influyera positivamente en una voluntad aperturista del gobierno cubano.
Para mayor ilusión, el discurso de Juan Pablo II ante una plaza colmada por una mezcla de fieles y diletantes de ocasión, y frente a la gigantesca imagen del Che Guevara, hizo una abierta referencia a la necesidad de romper el aislamiento que sufrían los cubanos como consecuencia del sistema político: “ábrase Cuba al mundo”, dijo en su inspirada homilía ante la muchedumbre delirante que lo escuchaba extasiada y llena de esperanzas, como si el solo hecho de que el Sumo Pontífice lo sugiriera se fuera a producir, por ósmosis, el milagro de la libertad y la democracia para Cuba.
La multitud, sin embargo, tenía sus motivos para creer en milagros. A fin de cuentas el propio gobierno que apenas una década antes de la llegada del Papa se autoproclamaba comunista y ateo, y que había hostigado durante 30 años a los creyentes de cualquier denominación religiosa, marginándolos y excluyéndolos en lo que fue una verdadera cruzada al revés –contra los fieles a Dios–, había obrado el sortilegio de transitar del más acendrado odio hacia todo lo que representara religiosidad, a legalizar todos los credos, e incluso a bendecir la entrada de religiosos a las filas del Partido Comunista. Y lo había logrado sin gradaciones, sin levantar suspicacias y, lo más relevante, sin que nadie le exigiera cuentas, dado que una de las más inefables virtudes autóctonas consiste en confundir la justicia con la amnesia.
Indudablemente, colocar a Dios y a Marx en un mismo altar fue un aporte espiritual de la revolución que no ha sido debidamente reconocido. Surgió así un nuevo espécimen en la fauna socialista: el comunista-místico; y súbitamente ser creyente se convirtió casi en un adorno de moda. Crucifijos cristianos y collares de santería de herencia africana proliferaron alegremente entre nosotros, muchas veces mezclados entre sí, con tanta naturalidad como si jamás hubiesen sido proscritos, como si no hubiesen sido fusilados decenas de jóvenes cristianos en la Fortaleza de la Cabaña, no hubiesen existido las Unidades Militares de Apoyo a la Producción (UMAP) o no hubiese sido profundamente lastimada la espiritualidad religiosa que había sido siempre parte esencial de la cultura nacional.
Para cuando Juan Pablo II nos honró con su presencia éramos un país tan democráticamente religioso que el propio Monseñor Carlos Manuel de Céspedes confesaba tener tras su puerta fetiches de santería. Ni qué decir del Pecador en Jefe, quien recibió personalmente al Santo Padre y fue bendecido por éste y por Dios, a pesar de que se saltó el trámite de la confesión.
No obstante, el saldo general de la visita de Juan Pablo II fue positivo, en especial para la Iglesia Católica cubana, que ganó nuevos espacios sociales, experimentó una discreta animación y hasta fundó revistas que, aunque no cuentan con una gran tirada, sí son toleradas por el gobierno y gozan de reconocimiento entre la población. De paso recuperamos las navidades, y además el clero autóctono consiguió permiso para que la Virgen de la Caridad pudiera dar un breve paseo –a manera de procesión– cada mes de septiembre.
Y también desde entonces el mundo se abrió un poco hacia Cuba, aunque tras la partida de Wojtyła y hasta la actualidad, la mayoría de los cubanos siguen encerrados en esta Isla-cárcel sin libertades democráticas y sin la posibilidad del ejercicio pleno de sus derechos.
La segunda visita papal fue en 2012, cuando Joseph Ratzinger, como Benedicto XVI, pasó revista por la feligresía de la hacienda en ruinas, principalmente para conseguir algunas concesiones del Pecador Sustituto para con la Iglesia. En esta ocasión la esperanza popular había sufrido una considerable merma, pero Benedicto pronunció también su homilía ante una masa de fieles –en la que hubo numerosos representantes de la emigración cubana–, nos lanzó otra andanada de bendiciones de corto alcance y se marchó, no sin antes presenciar un pequeño desorden provocado por un opositor político que gritó consignas contra el gobierno y que fue brutalmente reducido a golpes por un grupo de miembros de la Cruz Roja nacional, mientras a su alrededor los corderos del rebaño permanecían impávidos, sin siquiera emitir un balido.
Benedicto XVI en la Plaza, La Habana (foto de internet)
Benedicto XVI en la Plaza, La Habana (foto de internet)
Ahora corresponde el turno al carismático Papa Francisco. Viene a Cuba en este controvertido año 2015 con unas credenciales envidiables. Si no bastaran su condición de ser nativo latinoamericano, haber estado entre de los religiosos que animaron la Teología de la Liberación, llevar adelante una depuración de la Iglesia Católica desarrollando a la vez una fiera acometida contra la corrupción dentro del propio Vaticano, o mostrar una austeridad y humildad propias del santo del cual tomó su nombre como Sumo Pontífice, tiene el mérito extraordinario de haber sido mediador en el actual acercamiento entre los gobiernos de Cuba y Estados Unidos, ayudando así a poner fin a una hostilidad de medio siglo, que ha definido la política y la vida nacional cubanas.
Con semejante currículo, sumado a una capacidad inspiradora tan rotunda que hasta el General-Presidente en su reciente encuentro con el Santo Padre experimentó una suerte de epifanía y prometió “volver a rezar” –lo cual demuestra que la metamorfosis de religioso a militante del PCC puede ser reversible–, cabría suponer una avalancha de expectativas entre los cubanos ante la inminente visita. Sin embargo, esto no es lo que se percibe en las calles.
También la momentánea ola de esperanzas que levantara en la Isla el anuncio del 17D, se ha ido desvaneciendo ante la ausencia de cambios, pese a que ya no tenemos un enemigo a las puertas de casa. Y en ese escenario de apatía llegará Francisco. Llega a tiempo, antes de que la emigración termine por vaciar del todo la Isla. Porque aquellos que tenían unos pocos años cuando nos visitó Juan Pablo II, ya son adultos, y muchos han escapado de Cuba. Las ilusiones de prosperidad y de libertades se han estrellado contra el valladar del inmovilismo gubernamental, y ya los discursos crípticos de los representantes de Dios son insuficientes para levantar un nuevo capital de fe. Pocos creen aquí en bendiciones papales.
A fin de cuentas, también el Vaticano es un Estado, con gobierno, política e intereses propios. Y, –con perdón de los creyentes– ¡qué tanto podrían interesarle nuestras aspiraciones de libertad a quienes, al menos de jure, cifran sus mayores aspiraciones en el reino de los cielos y no en las realidades de la tierra! Hemos sido aletargados demasiadas veces por las palabras de falsos profetas como para cifrar nuestras expectativas en otro jefe de estado. Después de 17 años de que Juan Pablo II pisara tierra cubana, seguimos sin percibir los efectos de sus congratulaciones. Nadie –salvo los ilusos más contumaces– espera que ahora Francisco propicie el milagro de los cambios que tanto urgen a Cuba.
Por las dudas, decenas de miles de cubanos siguen optando cada año por buscar las bendiciones por su propia cuenta y riesgo, y siguen emigrando hacia donde creen que Dios ha puesto su mano sin necesidad de la intervención de Su Santidad del Vaticano. Y así será, al menos mientras el infierno verde olivo siga dictando las pautas en esta Isla maldita
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