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Dal Rikimbili alla lavatrice che fa il succo di mango Gli inventori cubani oltre l’embargo

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Messaggio Da giumiro Gio 23 Lug 2015 - 17:26




“Il futuro è il riciclo, altro che consumismo”. Reynaldo Peña, detto Rey, mostra l’ultimo dei suoi gioielli, ammassato tra altre diavolerie elettroniche nella sua casa-magazzino in Habana Vieja. La casa è anche un deposito, un salone di parrucchieri (a cielo aperto), un divano per vedere a rotazione video musicali di Marc Anthony. L’oggetto era una lavatrice, di quelle con il cestello che si apre in alto. E l’aspetto è ancora quello di un elettrodomestico per lavare i panni, ma con una modifica. Gli tremano le mani per la gioia, corre in cucina prende un coltello e con quelle mani sudice del grasso di ingranaggi e motori affetta un mango. Poi lo getta nel cestello. Prende una bottiglia di plastica, la avvicina al tubo rosso che esce dalla machina e preme start. La lama (che è in realtà una gruccia) che sostituisce la pala interna inizia a girare, taglia, sminuzza e produce succo di mango che riempie la bottiglia. Meraviglia. Reynaldo, 62 anni, si batte il pugno sul petto “visto che invenzione?”. Scomoda, ingombrante, rumorosa, ma funziona. Reinaldo è uno degli inventori che ancora produce. A Cuba tutti sono creativi, ognuno ha in casa oggetti di propria costruzione, come se il “Periodo speciale” non fosse mai finito. In effetti le materie prime ancora non ci sono, pezzi di ricambio per un qualsiasi oggetto rotto sono introvabili. E il cubano inventa, è nel suo dna.
















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Micky e la moglie nel loro piccolo negozio ricavato nel rudere di una casa nel Barrio Chino
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Nella sua bottega da tuttofare Reinaldo ha decine e decine di ventilatori, asciugatrici, telefoni, motorini da riparare, pentole a pressione. Nel quartiere è famoso, lo chiamano meccanico ma sa fare di tutto. Parla velocissimo, prima di filosofia, di semantica e poi di psicoanalisi. Si alza tutti i giorni alle 5, e alla domenica alle 6,30. “Il mio tempo è denaro, ogni ora vale 15 pesos”. Durante il “Periodo speciale” era capo del personale del Partito popolare, poi ha lavorato in una grande azienda che fabbricava macchine industriali. Una volta finito il dominio assoluto del governo sul lavoro individuale ha iniziato a inventare. Prima macchine che estraessero idrogeno dall’acqua (ma finì tutto per una esplosione), poi oggetti, come faceva suo papà.

Reynaldo Peña nella sua bottega
Quindi una lavatrice/asciugatrice rotta veniva tagliata a metà, il motore della parte guasta diventata buono per fare funzionare un ventilatore, per esempio, i tubetti di colla diventano aeroplani di plastica per i bambini, una bici con un motore posticcio alimentato a kerosene in una bottiglia di plastica diventa un rikimbili, un mezzo ora fuorilegge perché pericoloso. Il motore di una lavatrice era anche usato nella macchina per copiare le chiavi. Le più diffuse sono ancora le antenne per la televisione costruite con i piatti di latta delle mense o dei ristoranti governativi: tagliate e modellate captavano i segnali. Oppure i ventilatori il cui motore proviene da innumerevoli altri oggetti. Persino un telefono può essere la sua base e le eliche sono quelle di una piccola barca. E così via. L’isola ne è piena, una sorta di corso di sopravvivenza continuo, un museo di design a cielo aperto.

Ernesto Oroza ha studiato il fenomeno. E’ un architetto e designer cubano 47enne che ora vive a Miami. Per lui il cubano inventore non fa altro che “disobbedienza tecnologica”. Oroza dal 1997 colleziona e cataloga oggetti trovati nelle case dei cubani: “Il fenomeno creativo cubano è iniziato quando sono terminati i sussidi”, spiega. “A  quel tempo c’era una sola e grande economia centralizzata, nessuna esperienza privata, tutte le produzioni erano statali”. Nel 1960 il presidente americano Dwight D. Eisenhower impose il primo embargo e l’anno successivo ruppe definitivamente i rapporti diplomatici con Cuba. Dopo il 1991 e la caduta dell’Urss gli aiuti terminarono e Cuba perdette l’85 % dei beni che provenivano dall’estero, soprattutto energia, la maggior parte di quelli che i cubani potevano avere. “Da quel che ho studiato sono diversi elementi che hanno facilitato il diffondersi delle invenzioni: innanzitutto l’educazione sull’isola è sempre stata gratuita e ad alto livello, quindi c’erano e ci sono un gran numero di architetti, ingegneri, esperti di materie tecniche. Poi, gli oggetti che avevamo in casa erano prodotti del socialismo, tutti uguali. Tutti avevamo una lavatrice sovietica Aurika, un frigo Minsk, un ventilatore Orbita, una tv Caribe o Krim”. Una volta terminata l’assistenza straniera e una volta che questi oggetti hanno smesso di funzionare perché vecchi o semplicemente guasti, era impossibile recuperare pezzi di ricambio o fabbricarli. Ed è così che il cubano si è ingegnato. Prendi un pezzo di questo e mettilo in un altro oggetto, cambiandone la natura. “Disobbedienza tecnologica verso gli oggetti nati dal capitalismo e dal comunismo: un termine che descrive il rapporto tra il cubano e la tecnologia”, precisa Oroza. “Il cubano era in gabbia e inventare e cambiare la natura degli oggetti era per lui una liberazione morale, un modo per aggirare le regole che lo imprigionavano”. Nessun brevetto però. Le invenzioni erano e rimangono di proprietà dello stato e conservate negli archivi dell’Associazione nazionale di inventori e razionalizzatori.







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Per le strade dell'Havana gli arrotini richiamano i clienti con un fischio
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La crisi colpì il 99% della popolazione. Senza un lavoro la gente stava a casa e  inventava trasformando le abitazioni in laboratori. Il Governo inizialmente cercò di fermare questa nuova “attività” (perché si trattava di lavoro individuale), ma poi, rendendosi conto del livello altissimo di povertà, aiutò in qualche modo l’opera degli inventori. Alcuni libri vennero così distribuiti di casa in casa: il primo fu “Il libro per la famiglia” che seguiva la filosofia del “do it yourself” (fai da te, ndr), una sorta di manuale di sopravvivenza: tra le pagine i sistemi per produrre da soli sapone e medicinali, costruire oggetti riciclandone altri, riparare il tetto, cucinare con il poco che si poteva trovare in città. Ma anche come costruire armi casalinghe, come fionde o cerbottane. “Si chiamava Periodo Speciale in tempo di pace, ma il governo in realtà si comportava come se il paese fosse sempre sotto attacco degli Stati Uniti”, racconta ancora Oroza. Due anni dopo il governo di Fidel ha rincarato la dose con un altro libro: il titolo era patriottico “Con nuestros propios esfuerzos” (“Con i nostri sforzi”, ndr.  Qui il pdf del libro) e il contenuto era simile al primo. A questo si affiancarono poi diversi volumi più specifici, quello dedicato all’elettronica, alla meccanica, alla medicina.  

Armando e Roberto, ad esempio, hanno imparato parte di quello che sanno da uno di questi libri. Ora hanno una bottega ricavata dal salotto di casa e aggiustano di tutto, dalle batterie delle vecchie auto americane anni 50, ai motori dei ventilatori. Armando, 69 anni, è un ingegnere civile, ma durante il Periodo Speciale, rimasto senza un soldo, ha imparato a fare il meccanico. Lavora insieme a Roberto di 46 anni, un vicino di casa, “molto di più – precisa Armando – è come se fosse un figlio”. “Io ora mi aggiorno attraverso Internet, vado negli alberghi dove è possibile connettersi e scarico le ultime novità”, spiega Roberto. Lui è molto critico nei confronti del Regime che gli ha tolto la cosa più grande e importante che aveva. “Mi ha distrutto la vita: prima del Periodo speciale c’erano diversi programmi scolastici per mandare studenti cubani in Russia. Io ero stato scelto per studiare nel settore militare e sono diventato un pilota di Mig21: tutti mi rispettavano, ero una personalità e avevo una carriera davanti a me”. Poi l’Unione Sovietica è caduta e tutti gli studenti sono stati rispediti a Cuba trovando un paese molto cambiato.
“La prima volta che ho rimesso piede a Cuba sono scoppiato a piangere:

Armando (seduto) e Roberto nella veranda del loro negozio
Castro mi aveva tolto tutto, dovevo ricominciare senza denaro in un’isola poverissima e senza materie prime per finanziare il settore bellico. Ho dovuto cambiare mestiere”. Roberto stringe i pugni e pulisce nervosamente una batteria, sistema i chiodi, spazza per terra in silenzio. Lo interrompe solo per parlare tra sé e sé: “Ora è difficile, tanto, che futuro avrò? Non abbiamo nulla”. Intanto mostrano i loro piccoli successi: una macchina per il caffè si è trasformata in una lente illuminata per distinguere chiodi e piccoli cavi colorati, barattoli di latta in lampade o, incollati a testa in giù alle mensole, sono porta oggetti, un compressore montato su un carrellino con le ruote sputa aria, utile per pulire i piccoli ingranaggi, il vetro di protezione della centralina elettrica ora è una ciotola per la minestra, una bottiglia di plastica tagliata a metà è un altro porta oggetti, un complesso sistema di cavi è un caricatore di batterie.
Per le strade urlano attirando l’attenzione gli arrotini. La pietra per affilare è montata sulla bicicletta e si aziona pedalando. Per la città vecchia i trasporti sono a pedali, i bicitaxi conducono i passeggeri nelle intricate viuzze che non permettono il passaggio delle auto. Erano biciclette, ora hanno montato dietro un cassone sul quale si siedono due persone. Mickey, lo chiamano così perché ha vissuto per anni negli Stati Uniti, ha un piccolo negozio che vende di tutto, cianfrusaglie a guardarle con gli occhi di un occidentale, pezzi di ricambio con gli occhi di un cubano. Costruisce strani robot unendo telefoni, bambole, torce, mangiacassette. Non hanno utilità ma sono la massima espressione della creatività di questo popolo. Le invenzioni non sono solo un fenomeno del passato. Il presente cubano ne è pieno: anche se la rete dell’embargo si sta allentando e i rapporti con gli Stati Uniti si stanno scongelando, i cubani sono imbrigliati in una serie di regole (molte delle quali irragionevoli e assurde) che limitano moltissimo la libertà personale. Per questo scavalcano, aggirano, inventano come unica forma di reale sopravvivenza.

Le invenzioni per i bambini, dall’archivio di una famiglia cubana

(oltre a un video molto divertente)
http://reportage.corriere.it/cronache/2015/dal-rikimbili-alla-lavatrice-che-fa-il-succo-di-mangogli-inventori-cubani-oltre-lembargo/?refresh_ce-cp
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