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Ochun, la Virgen de la Caridad del Cobre, Santa Patrona de Cuba
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Ochun, la Virgen de la Caridad del Cobre, Santa Patrona de Cuba
Oshun, chiamata anche Caridad, Oxum, Ochùn, Oxum o Osun, è parte della mitologia Yoruba e della Santeria* ed è un’Orisha**. E’ la Santa patrona di Cuba e viene anche chiamata con il nome di “Vergine della carità del Cobra”.
Sebbene sia la più giovane tra le Orisha femminili, ha meritato il titolo di Iyalode o Grande Regina del cielo, ed è così che viene rappresentata nella mente dei cubani, che hanno nei suoi confronti una profonda devozione.
La più bella tra le belle, Oshun è Dea d’amore e di femminilità e nell’iconografia più autentica viene rappresentata come una splendida giovane mulatta, sempre allegra e sorridente, amante della danza, e delle feste, ove si reca sempre accompagnata dal suono dei suoi campanelli.
E’ sposa di Chango e amica intima di Eleggua, che la protegge. Simbolizza la maternità, il parto, l’amore materno, la famiglia, la casa e la patria, ma anche la cucina, il sentimento e l’immaginazione, nonché le faccende economiche.
Sebbene sia la più giovane tra tutte, può sostituire qualsiasi Orisha, persino Obbatala. In Nigeria viene adorata perché Le si attribuisce la creazione del feto all’interno dell’utero. Infatti, insieme a Yemayà, presiede l’embrione, mentre Obbatala è lo scultore che dona la forma umana ed il dono della parola.
Le figlie di questa Dea coltivano l’ospitalità, la caritatevolezza, la compassione e la sensibilità. Sono molto materne e comprensive ed hanno una grande memoria, sono fantasiose, romantiche e generose, emotive e suscettibili.
Nata dalla bocca del fiume e del mare, Oshùn è la patrona di tutte le acque, specialmente quelle dolci di fiume, sorgente e cascata, alle cui rive si può incontrarLa e venerarLa. E’ lì che Lei vive e la troviamo spesso in compagnia di Yemaya. Attraverso l’acqua insieme con il miele, di cui altrettanto è patrona, offre le sue cure e le sue guarigioni. Tra i suoi amati compiti vi è quello in special modo quello di assistere le gestanti e le partorienti.
E’ la più allegra, civettuola e scanzonata di tutte, ama scherzare, giocare, truccarsi, profumarsi e guardarsi allo specchio, ed è capace di flirtare con tutti, e si dice che nessuno possa resistere al suo fascino, sia che si tratti di Orisha o di uomini.
Nondimeno ha un lato molto serio, e può essere molto combattiva, specialmente quando lotta per difendere i suoi figli. E’ molto sensuale ma anche molto sensibile e le sue benedizioni rendono la vita degna di essere vissuta.
Il mito
Si dice che fu la prima cuoca che gli Orisha abbiano mai avuto, ma poiché era molto distratta dovette faticare molto per essere presa in seria considerazione. Tra le tante storie che parlano di Lei, una narra che scambiò i suoi lunghi capelli con Yemayà per ottenere dei vestiti che l’avevano colpita per i colori sgargianti. Poi, con i capelli rimasti, si fece meravigliose acconciature.
In un’altra storia si narra che dovette prostituirsi per nutrire i suoi figli, e così le altre orisha glieli portarono via di casa. Allora Lei si ammalò di dolore e vestì lo stesso abito bianco per giorni e giorni, finchè questo divenne giallo. Ma Ajè-Shaluga, un altro Orisha, La vide mentre lavava il suo vestito al fiume e si innamorò perdutamente di Lei. La ricoprì di denaro e di gemme che raccolse dal fondo del fiume in cui viveva. Si sposarono e lei potè riavere i suoi figli.
Si dice soprattutto che con le sue irresistibili arti femminili sedusse Ogùn, inducendolo a uscire dal bosco, ed è così che salvò il mondo.
I suoi volti
Diversi sono i volti, o cammini, ma forse è più giusto dire i passaggi, che riguardano questa Dea, che viene chiamata con più nomi e rappresentata in modi differenti:
Yeyè Morò La più allegra e civetta di tutte, ha una grande sintonia con Eggùn, motivo per cui molti Iucumi la considerano “mungungu” o “regina ngangà”.
Ochùn Kayodè Come Yeyè Morò passa la vita danzando ed è molto allegra. Xangò la prese in sposa ed era molto rispettata ed amata. I suoi caracoles sono marrone scuro e porta una chiave d’oro che le donò Elegguà, con la quale apre le porte della felicità e i cuori delle genti, e per questo tutti la amano.
Ibu Ikole Nel suo cammino come Ibu Ikole Le si accredita la salvezza del mondo quando fece un’immenso servizio volando fino al cielo transformata in uccello. Ikole infatti significa “messaggera della casa di Olodumare”. Si prende anche molto cura della casa e della pulizia. Indossa una collana d’ambra e corallo.
Ololodi Secondo una versione questa è una Dea vestita da guerriera. E’ molto forte e i suoi nemici non hanno alcuna possibilità di sconfiggerla quando si arrabbia per difendere i suoi figli. Indossa una campana ed un machete. La sua corona è piena di coralli e la sua collana è fatta di perle, corallo, avorio e acquamarina. Secondo un’altra vive nel fondo del fiume, da cui emerge con i suoi pesci, una stella e la mezza luna. E’ molto serena. E’ un po’ sorda e lenta nel rispondere alle invocazioni. Molto casalinga, è una signora di grande rispetto. Si occupa solo di faccende veramente serie. Si usa chiamarla agitando con forza un agogò o una campanella, oppure con una trombetta di platino a forma di corno. Non ama danzare.
Ibu Akuaro E’ la regina senza corona. Vive dove il fiume incontra il mare, pertanto è regina di acque dolci e salate. E’ colei che prepara i filtri d’amore. Si è soliti farLe offerte con miele e molto oro e profumi e una bottiglia di sidro dolce. Prima di recarsi al luogo di culto, si deve ingraziarsi Yemayà, sua madre adottiva che la salvò. Akuara, per molti Lucumì, è uno dei più antichi passaggi di Ochùn, e viene da Dajomi. La sua collana è color giallo chiaro, verde e bianco e contiene corallo. Porta con sé un oggetto di legno di mango che assume diverse figure con cui lei ama danzare.
Ibu Aña E’ la Ochùn dei tamburi. Nel suonarli si è soliti evocare il suo nome (Ana) per tenere il tempo. E’ colei che non sente il tamburo ma va diretta verso lui. E’ molto amata dai suonatori di tamburo de “las reglas cubana”.
Ibu Iñani Vive nella sabbia della riva del fiume. E’ famosa per le sue controversie e possiede un ventaglio bronzeo fatto di campanelline.
Ibu Yumu Tesse maglie e cesti per i pescatori. Vecchia e sorda, è molto severa ed è legata ad Oggùn, di cui abitualmente si considera essere la moglie. E’ la più ricca di tutte, e non ama le feste. E’ colei che fa crescere il ventre anche senza alcuna gravidanza. Porta ai suoi figli la prosperità commerciale in qualsiasi lavoro essi intraprendano.
Ibu Oddonki Sta presso il fiume quando questo va in piena e si riempie di fango. Ha una cesta e una spada.
Ibu Oddoi Sta nel letto del fiume in secca. La sua corona contiene un girasole pendente.
Oggale Lei è anziana e presiede le massaie. La sua corona ha una chiave pendente.
Okuanda E’ colei che fu gettata nel fiume morta, colei che liberò Shangò. La sua corona finisce con una croce pendente.
Addesa La simbolizza la corona ed il pavone.
Ayede E’ colei che più sembra una regina. La sua corona è rivestiva di tessuto giallo e di piume di pappagallo e usignolo. E’ elegante, una gran signora, che ama la musica e le feste ma è anche giudiziosa e fedele moglie di Xangò. Terribilmete gelosa, i suoi occhi sprizzano odio quando un’altra Orisha cerca di conquistarlo.
Okuose Oddo E’ Colei che emerse morta dal fiume. Vive dentro una fontana e ha cinque bottiglie contenenti acque di diversi fiumi.
Bumi E’ Colei che si reca al fiume per prendere l’acqua. Ha una collana d’ambra e una gerla per l’acqua.
Ede Rappresentata da un gambero, è una buona camminatrice. La sua corona contiene 101 pezzi di bronzo e 101 braccialetti.
Latu Elegba Mangia un’anguria e vive al centro del fiume. Non ha corona.
Eleke Oni E’ Oshun la guerriera. Vive vicino all’albero del Paradiso e indossa una collana fatta di semi. Non ha corona, ma quattro collane. E’ molto forte.
Itu Mu Veste come un uomo, è un’amazzone. E’ sempre con Inle e Osajano.
Tinibu Vive con Orun. Esce di notte e ama andare in barca. E’ la sorella di Miwa ed è adorata ma non è incarnata e non ha un corpo umano.
Aja Jura E’ una guerriera e non ha corona ma un’elmetto.
Aremu Condeamo Veste in bianco ed è molto misteriosa. La sua collana è di ambra e corallo.
Sekesè E’ molto seria. Taluni popoli africani, come i Takùa e gli Ihebu usano porgere il proprio figlio tra le Sue braccia. E’ moglie fedele di Xangò e le si attribuisce questo figlio, il Xangò Ibeji.
Fumikè E’ legata a Obatalà, che le concesse il dono di dare la vita e la nascita di nuove persone sulla terra. Lei dona figli alle donne sterili e ama molto i bambini. Quando una donna non può rimanere incinta, Le si fa un sacchetto di erbe del monte di Ochùn, poi lo si imbeve nel miele; Una volta che la donna rimane incinta, per non perderlo si lega un cordone giallo al ventre perché la pancia continui a crescere e la creatura non si disperda.
Funkè E’ saggia ed ha grandi conoscenze sulla magia. Viene dalla terra Takùa. Sposa di Xangò, apprese i segreti della magia e divinazione. Suo padrino è Orulà.
Niwè Vive nei giunchi del fiume. E’ molto associata con Nanà Burukù ed entrambe costruiscono ceste per i pescatori. Viene rappresentata in un’immagine molto scura.
La si saluta con un Yalodde.
Iconografia e attributi
Il suo colore è il giallo però le si attribuiscono anche i coralli i verdi. Il suo giorno è il sabato e i suoi numeri il 5, 10, 15 e 25.
Il ricettacolo è una zuppiera multicolore, con predominanza del giallo, piena di acqua di fiume con cinque otaes, che devono essere raccolte all’alba dal fondo di un fiume e se guardan en tinajas de barro.
Suoi attributi sono il legno di sandalo e la piuma di pavone reale, il ventaglio, i pesciolini, i gamberi, le conchiglie, le bottigliette, gli specchi, i gioielli, i coralli marini, e tutti gli oggetti per la bellezza femminile.
I suoi simboli sono cinque manillas, cinque odané, una mezza luna, due remi, una stella, un sole e da una a cinque campanelle. A seconda del diverso cammino, i suoi simboli possono variare. Ochún Kolé ad esempio oltre a tutto quanto detto, ha anche cinque acque, cinque spole di filo, un machete, un mortaio e una corona con ventun pezzi.
Indossa pietre gialle e ambra. Ochún Olodí, Ibú e Ochún Gumíi le indossano rosse, verde smeraldo o giallo. Ochún Ikole porta oro e ambra. Sia Ochùn che Yemayà indossano coralli.
E’ vestita con una gonna gialla ed una cintura a fascia, che sopra al ventre ha un oggetto a forma di rombo. Al bordo del vestito ha un festone di puntas con cascabelitos colgantes.
I suoi animali sono i galli, le colombe, gli iguana, jicotea, patos, chivos castrados, venados (quando era amante di Ochosi), le galline, codornices (nel cammino di Ochún Ibú Akuara), i pavoni reali, i canarini e caimani.
I cibi a Lei cari sono dolcetti di gofio con miele, mele e caramello. Arance dolci di Cina, la scarola, acelga, chayote, tamal, riso giallo e farina di mais. Ekó, ekrú y olelé con azafrán. Dolci al cocco e tutti gli altri tipi di dolci. Ochinchin è il cibo liturgico che le si offre al fiume prima dell’iniziazione di un Iyawò. Tutti i pesci e i frutti di mare, e in particolare i gamberetti, Le vengono posti come dono. Il cibo si insaporisce e guarnisce con mandorle, berro, canistel, flor de agua, espinaca, perejil, boniato e calabaza.
I suoi fiori sono il girasole, il fior di guacamole e il bottone d’oro.
I suoi profuni sono il beriberi e il sándalo.
I suoi balli sono tutti, purchè sensuali e belli. Quando si alza, ride come Yemayà ed agita le braccia per far suonare i suoi braccialetti d’oro. Le sue mani scorrono lungo il suo corpo come i torrenti e i ruscelli scorrono lungo le colline. Generalmente danza con voluttuosità e tiene le mani tese in avanti, come se implorasse, mentre fa suggestive contorsioni col bacino ed i fianchi. Vuole, esige miele Pide, símbolo della dolcezza e dell’essenza amorosa della vita.
Protegge le parti del corpo come il basso ventre e le parti genitali, il sangue, il mestruo ed ogni tipo di emorraggia.
Invocare Ochun
Ecco una preghiera a lei dedicata:
Hail Ochun!
Alafia Ochun!
Olofi è con Te,
Regina di Bellezza e Amore, che così abbondantemente provvedi alle nostre necessità!
Ochun, la più amata e tenera!
Ochun, la madre più compassionevole!
Ochun, maferefun (grazie!)
per tutte le benedizioni
che fai piovere su di noi!
Yeye Cari
Mama Kena
Miracolosa fontana d'Amore
Ti amo per sempre!!!
Rito per Oshùn
Sarebbe bello poter celebrare il rito nei pressi della riva di un fiume, in un luogo pianeggiate al riparo da sguardi indiscreti. Altrimenti a casa, prevedendo di poter eventualmente recarsi ad un fiume.
Preparare su un tavolo o un piano un altare per Oshun, che comprenda una noce di cocco al suo centro, del miele e dei doni floreali, a seconda della stagione.
Da sole o con delle amiche, preparare anche noi stesse all'evento abbigliandoci con abiti particolarmente seducenti e campanelli ai polsi.
Dopo aver dedicato qualche minuto a connetterci con noi stesse, dare inizio ad uno spazio e un tempo sacri aprendo un cerchio o facendolo con le modalità con cui siamo solite farlo ed invocare Oshun con parole proprie o con la preghiera sopra citata.
Accompagnate da una musica ritmata e gioiosa, fare una danza libera in gruppo se si è in un cerchio, oppure da sole.
Danzare a lungo, ridere, ruotare su sè stesse e sentire la gioia della musica ....
Quindi fermarsi un minuto in silenzio, assaporando l'energia della Dea e interiorizzandola.
Se possibile, a questo punto, recarsi alla riva di un fiume, rompere il cocco contro una pietra, berne il latte lasciandone un poco dentro, aggiungere del miele da spalmare sulle pareti della noce di cocco, e porgere alle acque il cocco, ed eventuali fiori, in dono a Oshùn.
Tornare eventualmente a casa, chiudere lo spazio sacro, ringraziare e benedire.
Sebbene sia la più giovane tra le Orisha femminili, ha meritato il titolo di Iyalode o Grande Regina del cielo, ed è così che viene rappresentata nella mente dei cubani, che hanno nei suoi confronti una profonda devozione.
La più bella tra le belle, Oshun è Dea d’amore e di femminilità e nell’iconografia più autentica viene rappresentata come una splendida giovane mulatta, sempre allegra e sorridente, amante della danza, e delle feste, ove si reca sempre accompagnata dal suono dei suoi campanelli.
E’ sposa di Chango e amica intima di Eleggua, che la protegge. Simbolizza la maternità, il parto, l’amore materno, la famiglia, la casa e la patria, ma anche la cucina, il sentimento e l’immaginazione, nonché le faccende economiche.
Sebbene sia la più giovane tra tutte, può sostituire qualsiasi Orisha, persino Obbatala. In Nigeria viene adorata perché Le si attribuisce la creazione del feto all’interno dell’utero. Infatti, insieme a Yemayà, presiede l’embrione, mentre Obbatala è lo scultore che dona la forma umana ed il dono della parola.
Le figlie di questa Dea coltivano l’ospitalità, la caritatevolezza, la compassione e la sensibilità. Sono molto materne e comprensive ed hanno una grande memoria, sono fantasiose, romantiche e generose, emotive e suscettibili.
Nata dalla bocca del fiume e del mare, Oshùn è la patrona di tutte le acque, specialmente quelle dolci di fiume, sorgente e cascata, alle cui rive si può incontrarLa e venerarLa. E’ lì che Lei vive e la troviamo spesso in compagnia di Yemaya. Attraverso l’acqua insieme con il miele, di cui altrettanto è patrona, offre le sue cure e le sue guarigioni. Tra i suoi amati compiti vi è quello in special modo quello di assistere le gestanti e le partorienti.
E’ la più allegra, civettuola e scanzonata di tutte, ama scherzare, giocare, truccarsi, profumarsi e guardarsi allo specchio, ed è capace di flirtare con tutti, e si dice che nessuno possa resistere al suo fascino, sia che si tratti di Orisha o di uomini.
Nondimeno ha un lato molto serio, e può essere molto combattiva, specialmente quando lotta per difendere i suoi figli. E’ molto sensuale ma anche molto sensibile e le sue benedizioni rendono la vita degna di essere vissuta.
Il mito
Si dice che fu la prima cuoca che gli Orisha abbiano mai avuto, ma poiché era molto distratta dovette faticare molto per essere presa in seria considerazione. Tra le tante storie che parlano di Lei, una narra che scambiò i suoi lunghi capelli con Yemayà per ottenere dei vestiti che l’avevano colpita per i colori sgargianti. Poi, con i capelli rimasti, si fece meravigliose acconciature.
In un’altra storia si narra che dovette prostituirsi per nutrire i suoi figli, e così le altre orisha glieli portarono via di casa. Allora Lei si ammalò di dolore e vestì lo stesso abito bianco per giorni e giorni, finchè questo divenne giallo. Ma Ajè-Shaluga, un altro Orisha, La vide mentre lavava il suo vestito al fiume e si innamorò perdutamente di Lei. La ricoprì di denaro e di gemme che raccolse dal fondo del fiume in cui viveva. Si sposarono e lei potè riavere i suoi figli.
Si dice soprattutto che con le sue irresistibili arti femminili sedusse Ogùn, inducendolo a uscire dal bosco, ed è così che salvò il mondo.
I suoi volti
Diversi sono i volti, o cammini, ma forse è più giusto dire i passaggi, che riguardano questa Dea, che viene chiamata con più nomi e rappresentata in modi differenti:
Yeyè Morò La più allegra e civetta di tutte, ha una grande sintonia con Eggùn, motivo per cui molti Iucumi la considerano “mungungu” o “regina ngangà”.
Ochùn Kayodè Come Yeyè Morò passa la vita danzando ed è molto allegra. Xangò la prese in sposa ed era molto rispettata ed amata. I suoi caracoles sono marrone scuro e porta una chiave d’oro che le donò Elegguà, con la quale apre le porte della felicità e i cuori delle genti, e per questo tutti la amano.
Ibu Ikole Nel suo cammino come Ibu Ikole Le si accredita la salvezza del mondo quando fece un’immenso servizio volando fino al cielo transformata in uccello. Ikole infatti significa “messaggera della casa di Olodumare”. Si prende anche molto cura della casa e della pulizia. Indossa una collana d’ambra e corallo.
Ololodi Secondo una versione questa è una Dea vestita da guerriera. E’ molto forte e i suoi nemici non hanno alcuna possibilità di sconfiggerla quando si arrabbia per difendere i suoi figli. Indossa una campana ed un machete. La sua corona è piena di coralli e la sua collana è fatta di perle, corallo, avorio e acquamarina. Secondo un’altra vive nel fondo del fiume, da cui emerge con i suoi pesci, una stella e la mezza luna. E’ molto serena. E’ un po’ sorda e lenta nel rispondere alle invocazioni. Molto casalinga, è una signora di grande rispetto. Si occupa solo di faccende veramente serie. Si usa chiamarla agitando con forza un agogò o una campanella, oppure con una trombetta di platino a forma di corno. Non ama danzare.
Ibu Akuaro E’ la regina senza corona. Vive dove il fiume incontra il mare, pertanto è regina di acque dolci e salate. E’ colei che prepara i filtri d’amore. Si è soliti farLe offerte con miele e molto oro e profumi e una bottiglia di sidro dolce. Prima di recarsi al luogo di culto, si deve ingraziarsi Yemayà, sua madre adottiva che la salvò. Akuara, per molti Lucumì, è uno dei più antichi passaggi di Ochùn, e viene da Dajomi. La sua collana è color giallo chiaro, verde e bianco e contiene corallo. Porta con sé un oggetto di legno di mango che assume diverse figure con cui lei ama danzare.
Ibu Aña E’ la Ochùn dei tamburi. Nel suonarli si è soliti evocare il suo nome (Ana) per tenere il tempo. E’ colei che non sente il tamburo ma va diretta verso lui. E’ molto amata dai suonatori di tamburo de “las reglas cubana”.
Ibu Iñani Vive nella sabbia della riva del fiume. E’ famosa per le sue controversie e possiede un ventaglio bronzeo fatto di campanelline.
Ibu Yumu Tesse maglie e cesti per i pescatori. Vecchia e sorda, è molto severa ed è legata ad Oggùn, di cui abitualmente si considera essere la moglie. E’ la più ricca di tutte, e non ama le feste. E’ colei che fa crescere il ventre anche senza alcuna gravidanza. Porta ai suoi figli la prosperità commerciale in qualsiasi lavoro essi intraprendano.
Ibu Oddonki Sta presso il fiume quando questo va in piena e si riempie di fango. Ha una cesta e una spada.
Ibu Oddoi Sta nel letto del fiume in secca. La sua corona contiene un girasole pendente.
Oggale Lei è anziana e presiede le massaie. La sua corona ha una chiave pendente.
Okuanda E’ colei che fu gettata nel fiume morta, colei che liberò Shangò. La sua corona finisce con una croce pendente.
Addesa La simbolizza la corona ed il pavone.
Ayede E’ colei che più sembra una regina. La sua corona è rivestiva di tessuto giallo e di piume di pappagallo e usignolo. E’ elegante, una gran signora, che ama la musica e le feste ma è anche giudiziosa e fedele moglie di Xangò. Terribilmete gelosa, i suoi occhi sprizzano odio quando un’altra Orisha cerca di conquistarlo.
Okuose Oddo E’ Colei che emerse morta dal fiume. Vive dentro una fontana e ha cinque bottiglie contenenti acque di diversi fiumi.
Bumi E’ Colei che si reca al fiume per prendere l’acqua. Ha una collana d’ambra e una gerla per l’acqua.
Ede Rappresentata da un gambero, è una buona camminatrice. La sua corona contiene 101 pezzi di bronzo e 101 braccialetti.
Latu Elegba Mangia un’anguria e vive al centro del fiume. Non ha corona.
Eleke Oni E’ Oshun la guerriera. Vive vicino all’albero del Paradiso e indossa una collana fatta di semi. Non ha corona, ma quattro collane. E’ molto forte.
Itu Mu Veste come un uomo, è un’amazzone. E’ sempre con Inle e Osajano.
Tinibu Vive con Orun. Esce di notte e ama andare in barca. E’ la sorella di Miwa ed è adorata ma non è incarnata e non ha un corpo umano.
Aja Jura E’ una guerriera e non ha corona ma un’elmetto.
Aremu Condeamo Veste in bianco ed è molto misteriosa. La sua collana è di ambra e corallo.
Sekesè E’ molto seria. Taluni popoli africani, come i Takùa e gli Ihebu usano porgere il proprio figlio tra le Sue braccia. E’ moglie fedele di Xangò e le si attribuisce questo figlio, il Xangò Ibeji.
Fumikè E’ legata a Obatalà, che le concesse il dono di dare la vita e la nascita di nuove persone sulla terra. Lei dona figli alle donne sterili e ama molto i bambini. Quando una donna non può rimanere incinta, Le si fa un sacchetto di erbe del monte di Ochùn, poi lo si imbeve nel miele; Una volta che la donna rimane incinta, per non perderlo si lega un cordone giallo al ventre perché la pancia continui a crescere e la creatura non si disperda.
Funkè E’ saggia ed ha grandi conoscenze sulla magia. Viene dalla terra Takùa. Sposa di Xangò, apprese i segreti della magia e divinazione. Suo padrino è Orulà.
Niwè Vive nei giunchi del fiume. E’ molto associata con Nanà Burukù ed entrambe costruiscono ceste per i pescatori. Viene rappresentata in un’immagine molto scura.
La si saluta con un Yalodde.
Iconografia e attributi
Il suo colore è il giallo però le si attribuiscono anche i coralli i verdi. Il suo giorno è il sabato e i suoi numeri il 5, 10, 15 e 25.
Il ricettacolo è una zuppiera multicolore, con predominanza del giallo, piena di acqua di fiume con cinque otaes, che devono essere raccolte all’alba dal fondo di un fiume e se guardan en tinajas de barro.
Suoi attributi sono il legno di sandalo e la piuma di pavone reale, il ventaglio, i pesciolini, i gamberi, le conchiglie, le bottigliette, gli specchi, i gioielli, i coralli marini, e tutti gli oggetti per la bellezza femminile.
I suoi simboli sono cinque manillas, cinque odané, una mezza luna, due remi, una stella, un sole e da una a cinque campanelle. A seconda del diverso cammino, i suoi simboli possono variare. Ochún Kolé ad esempio oltre a tutto quanto detto, ha anche cinque acque, cinque spole di filo, un machete, un mortaio e una corona con ventun pezzi.
Indossa pietre gialle e ambra. Ochún Olodí, Ibú e Ochún Gumíi le indossano rosse, verde smeraldo o giallo. Ochún Ikole porta oro e ambra. Sia Ochùn che Yemayà indossano coralli.
E’ vestita con una gonna gialla ed una cintura a fascia, che sopra al ventre ha un oggetto a forma di rombo. Al bordo del vestito ha un festone di puntas con cascabelitos colgantes.
I suoi animali sono i galli, le colombe, gli iguana, jicotea, patos, chivos castrados, venados (quando era amante di Ochosi), le galline, codornices (nel cammino di Ochún Ibú Akuara), i pavoni reali, i canarini e caimani.
I cibi a Lei cari sono dolcetti di gofio con miele, mele e caramello. Arance dolci di Cina, la scarola, acelga, chayote, tamal, riso giallo e farina di mais. Ekó, ekrú y olelé con azafrán. Dolci al cocco e tutti gli altri tipi di dolci. Ochinchin è il cibo liturgico che le si offre al fiume prima dell’iniziazione di un Iyawò. Tutti i pesci e i frutti di mare, e in particolare i gamberetti, Le vengono posti come dono. Il cibo si insaporisce e guarnisce con mandorle, berro, canistel, flor de agua, espinaca, perejil, boniato e calabaza.
I suoi fiori sono il girasole, il fior di guacamole e il bottone d’oro.
I suoi profuni sono il beriberi e il sándalo.
I suoi balli sono tutti, purchè sensuali e belli. Quando si alza, ride come Yemayà ed agita le braccia per far suonare i suoi braccialetti d’oro. Le sue mani scorrono lungo il suo corpo come i torrenti e i ruscelli scorrono lungo le colline. Generalmente danza con voluttuosità e tiene le mani tese in avanti, come se implorasse, mentre fa suggestive contorsioni col bacino ed i fianchi. Vuole, esige miele Pide, símbolo della dolcezza e dell’essenza amorosa della vita.
Protegge le parti del corpo come il basso ventre e le parti genitali, il sangue, il mestruo ed ogni tipo di emorraggia.
Invocare Ochun
Ecco una preghiera a lei dedicata:
Hail Ochun!
Alafia Ochun!
Olofi è con Te,
Regina di Bellezza e Amore, che così abbondantemente provvedi alle nostre necessità!
Ochun, la più amata e tenera!
Ochun, la madre più compassionevole!
Ochun, maferefun (grazie!)
per tutte le benedizioni
che fai piovere su di noi!
Yeye Cari
Mama Kena
Miracolosa fontana d'Amore
Ti amo per sempre!!!
Rito per Oshùn
Sarebbe bello poter celebrare il rito nei pressi della riva di un fiume, in un luogo pianeggiate al riparo da sguardi indiscreti. Altrimenti a casa, prevedendo di poter eventualmente recarsi ad un fiume.
Preparare su un tavolo o un piano un altare per Oshun, che comprenda una noce di cocco al suo centro, del miele e dei doni floreali, a seconda della stagione.
Da sole o con delle amiche, preparare anche noi stesse all'evento abbigliandoci con abiti particolarmente seducenti e campanelli ai polsi.
Dopo aver dedicato qualche minuto a connetterci con noi stesse, dare inizio ad uno spazio e un tempo sacri aprendo un cerchio o facendolo con le modalità con cui siamo solite farlo ed invocare Oshun con parole proprie o con la preghiera sopra citata.
Accompagnate da una musica ritmata e gioiosa, fare una danza libera in gruppo se si è in un cerchio, oppure da sole.
Danzare a lungo, ridere, ruotare su sè stesse e sentire la gioia della musica ....
Quindi fermarsi un minuto in silenzio, assaporando l'energia della Dea e interiorizzandola.
Se possibile, a questo punto, recarsi alla riva di un fiume, rompere il cocco contro una pietra, berne il latte lasciandone un poco dentro, aggiungere del miele da spalmare sulle pareti della noce di cocco, e porgere alle acque il cocco, ed eventuali fiori, in dono a Oshùn.
Tornare eventualmente a casa, chiudere lo spazio sacro, ringraziare e benedire.
el flaquito- Messaggi : 502
Data d'iscrizione : 17.10.12
Re: Ochun, la Virgen de la Caridad del Cobre, Santa Patrona de Cuba
http://www.conexioncubana.net/index.php/la-religion-en-cuba-2/santeria/862-ochun
A la bella Ochún le gustaba pasearse por el monte, donde bailando y cantando, jugaba con los animales quienes la respetaban y ni el alacrán la picaba. Oggún un día la vió pasar y quedó prendado de su belleza, sin poder contenerse la persiguió para poseerla. Ochún, que a quien amaba era a Changó, huyó del fiero Oggún atravesando por los montes hasta llegar al río al cual se lanzó y se dejó llevar por la corriente llegando a la desembocadura con el mar. Es aquí donde se tropezó con la poderosa Yemayá, quien se compadeció de ella y la protegió. Yemayá la regaló entonces a Ochún el río para que viviera en él y para alegrarla, la cubrió de joyas, corales y otras riquezas. Por esto es que Ochún vive en el río y quiere tanto a Yemayá.
Se dice que con Changó tuvo amores muy ardientes y éste siempre la prefirió. A Obba, legítima esposa de Changó, la traicionó Ochún cuando le aconsejó que se cortará las orejas para preparar el Kalulú, plato favorito del dios del trueno, esto le costó a Obba ser repudiada por su esposo. Ochún tuvo amores también con Agayú, que la conoció como sinera en el río.
Hay un patakín que cuenta cómo una vez Olodumare se llevó todas las aguas para castigo de los hombres. Los ríos y las lagunas se secaron, los peces, los animales y los hombres morían de sed. Ifá puso en un ceso ofrendas que debían conducirse al cielo, Ochún se encargó de ello. Por el camino se encontró a Elegguá y le entregó aguja e hilos, luego se encontró con Obatalá y le regaló los huevos que llevaba, Obatalá en reciprocidad, le indicó donde estaba la puerta del cielo. Al llegar al cielo, Ochún vió que una gran cantidad de niños cuidaban la puerta de entrada y les repartió dulces para que la dejaran entrar. Olodumare la oyó y accedió a dejar caer la lluvia de nuevo sobre la tierra. Se llenaron los ríos y la naturaleza revivió en todo su esplendor.
SINCRETISMO:Ochún se sincretiza con la Virgen de la Caridad del Cobre, patrona de la Isla y venerada por los cubanos desde hace siglos. Son famosas desde el siglo XIX las peregrinaciones al santurario de la Caridad, en el poblado de El Cobre, cercano a la ciudad de Santiago de Cuba.
Cuentan que alrededor de 1620 dos indios, Juan de Hoyos y Juan Moreno, y un negrito criollo, Rodrigo, fueron a buscar sal a la bahía de Nipe. Estando ya en el mar, en una canoa, vieron aparecer una imagen tallada en madera de la Virgen María que flotaba sobre una tabla. Llevaba en el brazo izquierdo al niño Jesús y en el derecho una cruz de oro, en la tabla había una inscripción que decía: Yo soy la Virgen de la Caridad. La recogieron y la llevaron al hato de Varajagua, donde el administrador de una de las minas de cobre ordenó construirle una ermita. El 10 de mayo de 1916 Benedicto XV la declaró Patrona de Cuba.
COLOR: Amarillo (en todas sus variantes hasta el ocre), también se le atribuyen los colarinos y los verdes agua.
NUMERO: 5 y sus múltiplos.
MATERIALES: Bronce, latón, oro y otros metales amarillos.
ATRIBUTOS: Flores amarillas, miel, corales redondos, abanico de plumas de pavoreal, camarones, espejos, joyas y todo objeto del tocador femenino, sábanas, paños bordados, marugas, pañuelos, güiro en forma de sonaja cuyo sonido encanta a Ochún.
COLLARES: Llevan cuentas amarillas o de ámbar.
ROPA: Bata amarilla que lleva cinto y peto en forma de rombo sobre el vientre. En el borde de la falda lleva cascabeles pequeños colgando.
COMIDAS FAVORITAS: Frijoles caritas cocidos con cáscara y sal con mucho ajo y cebolla, frijoles carita cocidos sin adobo, gofio con miel, melado, caramelos, naranjas dulces de China, alegrías de coco y todo tipo de dulces, arroz amarillo, harina de maiz, todos los peces y mariscos del rio, ahumados, la comida se sazona con almendros, berro, canistel, espinaca, perejil, boniato y calabaza.
ANIMALES: gallos, palomas, guineos, jicotea, chivos castrados, gallinas, codornices, pavo reales, canarios.
RECEPTACULO: Sopera multicolor, con predominio del amarillo, llena de agua del río y cinco piedras recogidas al amanecer del fondo de un río guardadas en tinaja de barro.
HIJOS: Los hijos de Ochún son simpáticos y fiesteros. En el fondo son voluntariosos y con grandes deseos de ascender socialmente, por eso disfrazan su gran sensualidad por el deseo de integrarse lo mejor posible a la opinión pública. Aman las joyas, los perfumes y la buena ropa.
OTROS: Ochún protege contra las afecciones del bajo vientre y partes genitales en general, la sangre, el hígado y todo tipo de hemorragias
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Re: Ochun, la Virgen de la Caridad del Cobre, Santa Patrona de Cuba
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Re: Ochun, la Virgen de la Caridad del Cobre, Santa Patrona de Cuba
http://es.wikipedia.org/wiki/Virgen_de_la_Caridad_del_Cobre
http://es.wikipedia.org/wiki/Oshun
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Re: Ochun, la Virgen de la Caridad del Cobre, Santa Patrona de Cuba
http://www.cubanet.org/destacados/toda-cuba-navega-en-el-bote-de-cachita/
Toda Cuba navega en el bote de Cachita
No fue poco lo que consiguió el fidelismo al desconocerla públicamente, durante decenios, como Patrona de la isla, y al proscribir en la práctica su adoración
.- Nada parece contener un mensaje más sólido para los cubanos, en el día de hoy, que ese bote que navega desafiando el mal tiempo bajo la protección de la Caridad del Cobre. Es algo que no sólo nos sirve como particular motivo de esperanza, en una coyuntura en la que vivimos igual que náufragos sin costas a la vista. También nos extiende una lección histórica, al indicarnos que no son los gobernantes ni los poderosos quienes determinan el real alcance de un símbolo, por más que se empeñen.
Las representaciones de la fe no obedecen a dictados, ni a planes de conquista. Son muros infranqueables que se levantan solos en el espíritu de la gente y contra los que todo poder material resulta inútil.
Nuestra Cachita ejemplifica esa lección de la manera más rotunda. Primero, debió resistirse al modelo impuesto a fuego y látigo por los conquistadores españoles. Después tuvo que enfrentar el ninguneo racista y los prejuicios de clase que impusieron su fécula nociva durante la época republicana. Al punto que aunque su imagen, en forma sincrética, era adorada desde hacía más de tres siglos, la primera fiesta pública de celebración de Ochún tuvo lugar en Cuba en el año 1936, según Fernando Ortiz. Luego, para colmo, los revolucionarios de Fidel Castro, una vez que se habían valido de su halo para conquistar la simpatía popular, quisieron borrarla del mapa, olvidando que el signo de su trascendencia no radicaba en las estampitas ni en los altares, sino en el alma del pueblo.
No obstante, no fue poco lo que consiguió el fidelismo al desconocerla públicamente, durante decenios, como Patrona de Cuba, y al proscribir en la práctica su adoración. Algún día los historiadores quizá se animen a establecer hasta qué punto ese atropello de la más representativa inspiración espiritual de los cubanos incidió en la fractura de la unidad nacional y en la separación de las familias y en la adopción del miedo y la desesperanza y en las derivas del comportamiento indecoroso como nuevos signos de nuestra identidad. Cachita nos hizo falta durante demasiado tiempo.
La suya fue una ausencia por la que el Papa y sus nuncios difícilmente podrán recompensarnos. Toda vez que en su propia casa, la iglesia católica cubana, y entre sus más encumbrados moradores de los predios capitalinos, ante el imperativo de escoger entre la complicidad y la total anulación, hubo quienes parecen haber pactado con los mismos que la anulaban. Fue como si Jesús, en vez de arrojar a los mercaderes del templo, les rentara tarima para compartir con ellos los beneficios de la venta.
Pero la historia es testadura, y con ella, los símbolos populares, que conforman su expresión más elocuente.
La Caridad del Cobre, nuestra Cachita, mestiza y sincrética a pesar de los pesares, ha sido llevada al fin a los muy exclusivos Jardines del Vaticano, hace pocos días. Mientras, coincidentemente, el embajador del Papa en La Habana, arzobispo Bruno Musaró, declaraba que aquí, “aún medio siglo después se habla de revolución, se alaba a ésta, pero la gente no sabe cómo alimentar a sus propios hijos”. Nunca es tarde cuando la dicha es cierta, afirma el refrán. Y claro que en esta ocasión también lo es.
Por nuestro lado, medio siglo de ateísmo impuesto por el poder político, si bien han dejado sus secuelas, como todo atropello a los más elementales derechos de las personas, no logró erradicar, ni reducir siquiera la innata tendencia de los espíritus crédulos a mirar hacia arriba en procura del divino socorro.
Y desde allá arriba -nadie se llame a engaño-, no es la imagen de Fidel Castro, ni la del Che o Marx o Lenin, las que guían hoy al pueblo cubano. Es la de Cachita, esforzándose por evitar que naufraguemos en medio de la tormenta y sin otro suelo más sólido para pisar que el de un bote a la deriva.
Toda Cuba navega en el bote de Cachita
No fue poco lo que consiguió el fidelismo al desconocerla públicamente, durante decenios, como Patrona de la isla, y al proscribir en la práctica su adoración
.- Nada parece contener un mensaje más sólido para los cubanos, en el día de hoy, que ese bote que navega desafiando el mal tiempo bajo la protección de la Caridad del Cobre. Es algo que no sólo nos sirve como particular motivo de esperanza, en una coyuntura en la que vivimos igual que náufragos sin costas a la vista. También nos extiende una lección histórica, al indicarnos que no son los gobernantes ni los poderosos quienes determinan el real alcance de un símbolo, por más que se empeñen.
Las representaciones de la fe no obedecen a dictados, ni a planes de conquista. Son muros infranqueables que se levantan solos en el espíritu de la gente y contra los que todo poder material resulta inútil.
Nuestra Cachita ejemplifica esa lección de la manera más rotunda. Primero, debió resistirse al modelo impuesto a fuego y látigo por los conquistadores españoles. Después tuvo que enfrentar el ninguneo racista y los prejuicios de clase que impusieron su fécula nociva durante la época republicana. Al punto que aunque su imagen, en forma sincrética, era adorada desde hacía más de tres siglos, la primera fiesta pública de celebración de Ochún tuvo lugar en Cuba en el año 1936, según Fernando Ortiz. Luego, para colmo, los revolucionarios de Fidel Castro, una vez que se habían valido de su halo para conquistar la simpatía popular, quisieron borrarla del mapa, olvidando que el signo de su trascendencia no radicaba en las estampitas ni en los altares, sino en el alma del pueblo.
No obstante, no fue poco lo que consiguió el fidelismo al desconocerla públicamente, durante decenios, como Patrona de Cuba, y al proscribir en la práctica su adoración. Algún día los historiadores quizá se animen a establecer hasta qué punto ese atropello de la más representativa inspiración espiritual de los cubanos incidió en la fractura de la unidad nacional y en la separación de las familias y en la adopción del miedo y la desesperanza y en las derivas del comportamiento indecoroso como nuevos signos de nuestra identidad. Cachita nos hizo falta durante demasiado tiempo.
La suya fue una ausencia por la que el Papa y sus nuncios difícilmente podrán recompensarnos. Toda vez que en su propia casa, la iglesia católica cubana, y entre sus más encumbrados moradores de los predios capitalinos, ante el imperativo de escoger entre la complicidad y la total anulación, hubo quienes parecen haber pactado con los mismos que la anulaban. Fue como si Jesús, en vez de arrojar a los mercaderes del templo, les rentara tarima para compartir con ellos los beneficios de la venta.
Pero la historia es testadura, y con ella, los símbolos populares, que conforman su expresión más elocuente.
La Caridad del Cobre, nuestra Cachita, mestiza y sincrética a pesar de los pesares, ha sido llevada al fin a los muy exclusivos Jardines del Vaticano, hace pocos días. Mientras, coincidentemente, el embajador del Papa en La Habana, arzobispo Bruno Musaró, declaraba que aquí, “aún medio siglo después se habla de revolución, se alaba a ésta, pero la gente no sabe cómo alimentar a sus propios hijos”. Nunca es tarde cuando la dicha es cierta, afirma el refrán. Y claro que en esta ocasión también lo es.
Por nuestro lado, medio siglo de ateísmo impuesto por el poder político, si bien han dejado sus secuelas, como todo atropello a los más elementales derechos de las personas, no logró erradicar, ni reducir siquiera la innata tendencia de los espíritus crédulos a mirar hacia arriba en procura del divino socorro.
Y desde allá arriba -nadie se llame a engaño-, no es la imagen de Fidel Castro, ni la del Che o Marx o Lenin, las que guían hoy al pueblo cubano. Es la de Cachita, esforzándose por evitar que naufraguemos en medio de la tormenta y sin otro suelo más sólido para pisar que el de un bote a la deriva.
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