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Cuba in prima linea contro Ebola. Ma l’embargo Usa frena gli aiuti
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Cuba in prima linea contro Ebola. Ma l’embargo Usa frena gli aiuti
Oltre 160 tra medici e infermieri inviati in Sierra Leone, circa 300 al lavoro in Liberia e Guinea. Ormai non c’è dubbio: il Paese che sta facendo di più contro Ebola è Cuba. Nelle settimane scorse anche l’Organizzazione mondiale per la sanità (Oms) l’ha confermato, invitando gli altri Paesi a seguire il suo esempio (i medici cubani, d’altronde, sono da sempre in prima linea nelle missioni umanitarie all’estero). Ma gli sforzi dell’isola caraibica sarebbero molto più efficaci se coordinati con gli Stati Uniti, il Paese che sta donando più soldi per arginare l’epidemia (750 milioni di dollari). Il problema? L’embargo imposto all’indomani della Rivoluzione castrista (1959). Le sanzioni Usa impediscono ai medici cubani di avere accesso ad attrezzature moderne e medicinali, aumentando così il rischio contagi.
In un lungo editoriale non firmato (che rappresenta quindi la linea del giornale), il «New York Times» si chiede se l’embargo ha ancora senso e se non rischia invece di frenare gli sforzi internazionali per contrastare il virus in Africa Occidentale (dove i morti hanno superato quota 4500). «Mentre Washington (insieme ad altre nazioni) - scrive il quotidiano - ha stanziato fondi, solo l’Havana ha inviato quello che serve davvero: personale medico qualificato. È una vergogna che i due Paesi non abbiano nessun rapporto diplomatico».
Insomma, un attacco bello e buono. Ma soprattutto un invito all’amministrazione Obama a ristabilire relazioni con Cuba «perché i lati positivi sono più di quelli negativi». Infine, il «New York Times» ricorda che un ipotetico sbarco di Ebola a Cuba potrebbe aumentare le probabilità di una diffusione negli Stati Uniti (già nel 2010 i medici cubani ebbero un ruolo fondamentale ad Haiti nel curare i malati di colera dopo il terremoto, ma alcuni tornarono a casa con il virus e l’Havana dovette affrontare la sua prima epidemia di colera dopo cento anni).
Pochi giorni fa, in un articolo su «Granma», Fidel Castro ha offerto collaborazione agli Stati Uniti nella lotta a Ebola. «La pace per il mondo - ha scritto l’ex presidente cubano - è un obiettivo che si può e si deve perseguire. Coopereremo con piacere con il personale nordamericano in questo compito». La palla ora passa a Obama.
In un lungo editoriale non firmato (che rappresenta quindi la linea del giornale), il «New York Times» si chiede se l’embargo ha ancora senso e se non rischia invece di frenare gli sforzi internazionali per contrastare il virus in Africa Occidentale (dove i morti hanno superato quota 4500). «Mentre Washington (insieme ad altre nazioni) - scrive il quotidiano - ha stanziato fondi, solo l’Havana ha inviato quello che serve davvero: personale medico qualificato. È una vergogna che i due Paesi non abbiano nessun rapporto diplomatico».
Insomma, un attacco bello e buono. Ma soprattutto un invito all’amministrazione Obama a ristabilire relazioni con Cuba «perché i lati positivi sono più di quelli negativi». Infine, il «New York Times» ricorda che un ipotetico sbarco di Ebola a Cuba potrebbe aumentare le probabilità di una diffusione negli Stati Uniti (già nel 2010 i medici cubani ebbero un ruolo fondamentale ad Haiti nel curare i malati di colera dopo il terremoto, ma alcuni tornarono a casa con il virus e l’Havana dovette affrontare la sua prima epidemia di colera dopo cento anni).
Pochi giorni fa, in un articolo su «Granma», Fidel Castro ha offerto collaborazione agli Stati Uniti nella lotta a Ebola. «La pace per il mondo - ha scritto l’ex presidente cubano - è un obiettivo che si può e si deve perseguire. Coopereremo con piacere con il personale nordamericano in questo compito». La palla ora passa a Obama.
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